Il senso delle recensioni di videogiochi

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Ogni domenica invio una nuova puntata.

Un editoriale sul Washington Post di Mikhail Klimentov ha riacceso, per l’ennesima volta nel giro di poche settimane, il dibattito attorno alle recensioni di videogiochi. Per quanto si tratta di una sola tipologia di articoli, è anche probabilmente quella più complessa nonché, in un certo senso, rappresentativa dello stato dell’editoria videoludica: perché racconta le dinamiche relazionali fra stampa ed editori; le difficoltà di bilanciare le esigenze delle testate con quelle dei lettori e anche di chi le recensioni le scrive – e quindi deve, a sua volta, equilibrare il tempo impiegato rispetto al pagamento del contenuto nell’era in cui tanti giochi durano tantissime ore.

Klimentov non ha detto niente di nuovo: 

  • ha fatto notare quanto sia complesso ricevere un codice dall’editore pochi giorni prima della scadenza dell’embargo e pensare di passare intere giornate a giocare e non poter fare nient’altro per riuscire a fornire un contenuto completo;
  • le condizioni, spesso davvero critiche, imposte dagli editori rispetto a cosa si può o non si può scrivere in sede di recensione;
  • come abbia poco senso proporre una recensione prima del lancio per prodotti che, poi, vengono costantemente corretti e aggiornati ed espansi;
  • la complessa decisione di scegliere fra pubblicare all’embargo una recensione magari incompleta (perché il gioco è lungo e complesso e non c’è tempo per una riflessione adeguata) oppure rimandare a un altro giorno, con il rischio però di perdere un po’ dell’interesse dei lettori, che è più alto al momento della scadenza dell’embargo.

“Perché non pubblicare dopo l’embargo? La risposta è dannatamente semplice: i recensori vogliono che le persone leggano il loro lavoro”. In definitiva, secondo Klimentov il sistema delle recensioni di videogiochi è semplicemente “rotto”: e io sono d’accordo con lui.

Gli anni passano, ma i problemi restano gli stessi

Il fatto che Klimentov non dica niente di nuovo rispetto a quanto sarebbe potuto essere scritto anni fa implica che non è stato sperimentato né pensato alcun modo per superare una dinamica che non funziona più: perché i giochi sono semplicemente troppi; ci sono altri modi per conoscere le opinioni (come i video su YouTube) e perché gli abbonamenti (da Apple Arcade a Xbox Game Pass) permettono di giocare a un titolo nuovo senza doverlo pagare singolarmente.

Il mercato è diverso; i giochi sono diversi; persino i fruitori di videogiochi sono diversi; ma la lunghezza delle recensioni, quanto vengono pagate, quanto tempo richiedono e che contenuto offrono è praticamente lo stesso da anni. Si potrebbe dire, anzi, che la situazione è per certi versi peggiorata: ciò porta tante persone a smettere di fare recensioni perché non è conveniente, punto. Tante ottime firme, per altro.

La questione delle recensioni è davvero ampia: perché rientra nelle linee editoriali delle singole testate; è complesso far capire ai lettori le tante situazioni che devono convergere appieno affinché la recensione sia creata (un collaboratore deve magari spendere 50 ore della sua vita a giocare e solo a quel punto ha materiale per scrivere: nessuna testata pagherà mai abbastanza per giustificare un simile investimento di tempo); perché ancora non si riesce a far capire appieno cosa debba essere una recensione.

Il giorno prima dell’editoriale di Klimentov, Francesco Fossetti, responsabile editoriale di Everyeye, ha scritto un articolo in cui cerca di spiegare alcuni meccanismi che, dietro le quinte, avvengono rispetto a come un redattore giudica e a come funzionano le recensioni. Le reazioni degli utenti sono state divisive, a dimostrazione di quanto il tema sia delicato e sfaccettato.