L’annuncio di Return to Monkey Island, che vedrà di nuovo Ron Gilbert e Dave Grossman lavorare sulla serie, è stato accolto con un misto di esaltazione e di scetticismo.
Se da una parte l’inclusione di due delle tre persone che hanno lavorato ai primi due capitoli di Monkey Island (la terza è Tim Schafer) è un segnale positivo, dall’altra il genere è sempre stato ostico per i neofiti: perché gli enigmi delle prime avventure di LucasArts richiedevano soluzioni spesso al limite del comprensibile.
Proprio su questo punto, Gilbert e Grossmann hanno risposto in un’intervista rilasciata a The Verge.
“Con questo gioco, Dave e io – ha detto Gilbert – abbiamo lavorato molto affinché le situazioni siano spiegate alle persone mentre giocano, così che comprendano il contesto di ciò in cui si stanno buttando, ma non in un modo che sembri troppo accomodante. Giusto una spiegazione molto naturale del contesto di cosa sta succedendo. E se c’erano delle cose che potevano non essere intese, perché magari erano una battuta o un’informazione che avrebbero capito in pochi, allora volevamo essere sicuri che le persone non sentissero di essersi perse qualcosa per strada”.
Chi ha giocato ai primi Monkey Island sa che spesso gli enigmi richiedevano una lunga sessione di “trial and error”: tentare di combinare gli oggetti nell’inventario in qualche modo sperando che, a un certo punto, saltasse fuori la combinazione corretta; non perché si fosse inteso il senso dell’enigma, ma solo per un tentativo fortunato.
Gilbert ha spiegato che a Return to Monkey Island hanno lavorato, all’apice del ciclo di sviluppo, 25 persone contemporaneamente, mentre a Thimbleweed Park, ultima opera realizzata da Toybox Studio di Gilbert, hanno lavorato non più di 14 persone.