“Mi è stato consigliato di non parlare”

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Questa settimana si è parlato di nuovo di Six Days in Fallujah, videogioco edito da Victura e sviluppato da Highwire Games ambientato durante la battaglia di Fallujah, in Iraq. Ho eviscerato molti dei problemi del gioco in una passata newsletter: eccola. Questa settimana, Alanah Pearce, che lavora per Sony Santa Monica, ha scritto su Twitter che le è stato consigliato di non commentare il gioco perché ciò “avrebbe messo a rischio il mio visto”.

Si tratta di un’affermazione molto drammatica e che, in particolare, evidenzia quanto il gioco sia fortemente politico: deve rappresentare gli Stati Uniti in un certo modo; chi prova a dire il contrario – sottolineando che Six Days in Fallujah propone una prospettiva falsata, omette dei particolari sensibili sulle vittime civili irachene oppure sull’uso del fosforo bianco o non tocca gli atti criminali commessi dai mercenari assoldati dagli Stati Uniti – rischia persino di subire delle ripercussioni. 

Il primo trailer del gioco ha raccontato di come sfrutterà la generazione procedurale per le varie ambientazioni. Il che è altrettanto drammatico: le abitazioni e le famiglie realmente coinvolte non sono state rappresentate com’erano; invece diventano parte di un algoritmo che le ricrea in modo che servano lo scopo del gioco. Quale scopo? “I marine ci hanno detto – ha spiegato il direttore creativo del gioco, Jaime Griesemer – che non sapevano mai cosa li avrebbe aspettati dietro la prossima porta. Ma, nei videogiochi, giochiamo alle stesse mappe ancora e ancora. Il solo sapere la disposizione di un edificio in anticipo rende i combattimenti nei videogiochi molto diversi dal combattimento vero e proprio”.

Six Days in Fallujah vuole, in particolare, raccontare cosa prova un soldato quanto entra in un’abitazione dove potenzialmente può incontrare qualunque pericolo (una trappola, per esempio). Per ricreare invece le persone innocenti che vivevano all’interno delle abitazioni viene usato non il racconto delle persone e le fotografie scattate, ma un algoritmo, che diventa non strumento per un racconto fedele, bensì alleato per scomporre e ricomporre una nuova visione del racconto.


CHE 2020 È STATO PER I VIDEOGIOCHI IN ITALIA

Il tanto tempo chiuso in casa ha accelerato la crescita del mercato dei videogiochi in Italia nel 2020. Nulla di sorprendente, anzi: ce lo si aspettava. Secondo i dati dell’associazione di categoria Italian Interactive Digital Entertainment Association (IIDEA), in media gli italiani hanno giocato 8 ore alla settimana lo scorso anno; 16,7 milioni di italiani hanno giocato ai videogiochi.

(N.B.: questo tipo di rapporti tende a essere molto generoso nell’etichettare una persona un “videogiocatore”. Non viene specificato secondo quali criteri vengano definiti tali: basta aver giocato una volta in un anno? Non lo sappiamo)

Il dato più importante riguarda il giro d’affari, che per la prima volta ha superato i 2 miliardi di euro (2,179 miliardi per la precisione) con una crescita di oltre il 21% rispetto al 2019. Non voglio però annoiarti con i dettagli del rapporto (li puoi trovare qui); bensì, con alcune valutazioni che possiamo trarre da questa indagine di mercato e di cosa possa dirci sui videogiochi in Italia e chi gioca. 

Ne possiamo dedurre, per esempio, che la Top 20 italiana non è per niente italiana. I giochi più venduti in Italia nel 2020 sono capitoli di serie internazionali come FIFA, Call of Duty, Assassin’s Creed e GTA. Una classifica che non dà minimamente un senso di “italianità”; quella stessa classifica potrebbe rappresentare i consumi nel Regno Unito o in Francia o in Danimarca. Facciamo un paragone con le classifiche dei film più visti in Italia. Certo, ci sono i vari film sui supereroi e i film d’azione ricchi di effetti speciali che si producono all’estero; ma spesso ci sono i cosiddetti cinepattone, per esempio, che volenti o nolenti fanno comunque parte delle abitudini cinematografiche italiane e del tessuto produttivo del cinema italiano. Nel 2020 – un anno chiaramente straordinario perché i cinema sono stati chiusi per molti mesi – fra i film che hanno incassato in Italia di più ci sono “Tolo Tolo” di Checco Zalone, “Hammamet” di Gianni Amelio e “Gli anni più belli” di Gabriele Muccino.

A guardare la classifica dei giochi più venduti in Italia nel 2020, invece, si potrebbe pensare che non esistano videogiochi fatti in Italia; il che non è vero, ma hanno una scarsa visibilità. È normale che i film italiani che devono debuttare al cinema vengano anche sponsorizzati nei cinema (con dei cartonati o dei poster, per esempio). Hai mai visto Milanoir sponsorizzato da Gamestop? E Detective Gallo o Football Drama? O Bud Spencer and Terence Hill Slaps and Beans? No: sono giochi digitali, innanzitutto, quindi non possono godere delle vetrine dei negozi fisici; finiscono quindi nella marea delle piccole produzioni distribuite su PC e console, in mezzo a chi ha un budget di marketing superiore oppure un nome di maggiore richiamo o ha dietro di sé un editore. 

Un fotogramma di Bud Spencer and Terence Hill Slaps and Beans, sviluppato dallo studio italiano Trinity Team, che ha sede a Bologna

L’ultimo rapporto di IIDEA ci dice, poi, che chi gioca ai videogiochi non si informa tramite i siti specializzati o quelli generalisti: lo fa soprattutto con il passaparola degli amici (38%) e attraverso i social network (28%). Ciò significa che i siti specialisti, in particolare, parlano alle solite persone (i super appassionati) senza riuscire, evidentemente, ad attirare un pubblico più ampio. Finché il videogioco parlerà soltanto a pochi, non potrà mai ambire a diventare un medium valido come il cinema o la letteratura. Vantare un valore di miliardi di euro non basta. Da una consapevolezza, è evidente, dipende il futuro del videogioco in Italia come settore produttivo. Un settore che oggi deve celebrare un fondo da 4 milioni di euro, quando in altre parti del mondo i videogiochi sono trattati come un’industria creativa in espansione e in quanto tale viene supportata in molti modi e soprattutto con fondi e sgravi fiscali più sostanziosi. Ne parlai ampiamente qui: le cose, oggi, sono identiche.

Infine, quel rapporto ci dice che tantissime persone (10,7 milioni) giocano su smartphone e tablet. Il mercato mobile dei videogiochi è in fortissima espansione ancora oggi, come ti ho spiegato: eppure, dall’informazione specializzata viene trattato come il fratello non voluto delle produzioni per console e per PC. Quindi in forte disaccordo con quello che è il mercato attuale dei videogiochi, anche in Italia.


TIKTOK INSEGUE I VIDEOGIOCHI

Non si è parlato abbastanza dell’acquisizione di uno studio videoludico da parte di ByteDance, la casa madre del social network TikTok. La società ha acquisito Moonton, sviluppatore di Mobile Legends, gioco che a gennaio 2020 aveva superato i 500 milioni di dollari di ricavi dal lancio. L’acquisizione, secondo le indiscrezioni, ha valutato Moonton circa 4 miliardi di dollari. ByteDance pubblica e sviluppa videogiochi attraverso Nuverse, che ha già distribuito vari giochi.