Due settimane fa ho definito il videogioco come “l’equivalente di una bottiglia di vetro con dentro un biglietto di carta lanciata in mare e che raggiunge le persone dall’altra parte del mondo”.
Sul momento ho pensato che questa similitudine potesse non essere compresa del tutto. Fortunatamente, questa settimana è successa una cosa che dà piena concretezza a quel che scrissi giorni fa.
Nei giorni scorsi, Maura Saccà ha consigliato “He fucked the girl out of me”. Si tratta di un’esperienza disponibile su Itch.io in cui Taylor McCue racconta una parte della sua storia di persona transgender e, in particolare, di come ha vissuto il sex working, attività a cui si è trovata costretta per una serie di ragioni. E di come, soprattutto, ciò l’abbia colpita in modi che ancora oggi influenzano la sua vita e il modo in cui si relaziona con le altre persone.
Si tratta di un’esperienza semi-autobiografica (il gioco viene descritto così). In questo senso, l’idea stessa era veicolare la sua storia per mezzo del linguaggio del videogioco. Non che ci siano mirabolanti trovate ludiche: a dire il vero, l’interazione è davvero minima e ciò che si fa è muovere qualche volta un avatar sullo schermo e scegliere fra due o più opzioni di dialogo. Però, il videogioco è stato usato come mezzo, come lettera digitale da spargere sul web.
Questo gioco è la concretizzazione di quella similitudine che ho proposto due settimane fa.
Lo è perché dopo aver giocato a “He fucked the girl out of me” ho scritto su Twitter a McCue. E mi ha risposto. Uno scambio di messaggi breve, fra due persone che vivono molto distanti fra di loro e che non si incontreranno probabilmente mai più; né si sentiranno, forse, mai più.
Questo incontro a distanza, intermediato dai social in questo caso, è stato reso possibile solo perché McCue ha scelto di creare un videogioco per raccontare un po’ della sua storia, per condividerla e fare in modo che altre persone potessero conoscerla: ha trasformato il videogioco nella bottiglia di vetro con dentro una lettera.
E in quel momento, non poteva sapere chi avrebbe raggiunto e come altre persone avrebbero interpretato o reagito alla sua storia. Però lo ha fatto e ha creato, per pochi minuti, un contatto con me e con moltissime altre persone che hanno scelto di aprire la porta alla sua storia.
E questa cosa la trovo fantastica.