“Ah, sì?”
È sempre questa la risposta che ottengo quando, parlando con una persona, faccio notare che quella famosa Atari, quella di Pong e di Asteroids, è ancora in attività. Molte persone sono rimaste alla console Jaguar e hanno perso di vista il marchio – che in effetti ne ha vissute di ogni, in questi anni.
Così, salvo qualche raro momento in cui Atari torna alle cronache della stampa specializzata, nella cultura generale Atari è, in un certo senso, morta.
Un po’ è vero, ma il punto è un altro: Atari è morta e risorta innumerevoli volte, per ritornare sempre diversa. Che sia ancora viva lo ha dimostrato di recente, quando ha annunciato l’acquisizione di Nightdive Studios, che sta lavorando al rifacimento di System Shock, e la futura emissione di obbligazioni per 30 milioni di dollari, con la cui liquidità potrebbe finanziare ulteriori acquisizioni.
Oggi Atari è una società che vive a cavallo fra il suo storico passato e un incerto futuro.
Da una parte all’altra
Sintetizzare oltre cinquant’anni di Atari in una puntata è impossibile.
Con Atari iniziano i videogiochi nel 1972. Oggi, più di cinquant’anni dopo, Atari, come marchio, esiste ancora; ma è qualcosa di talmente diverso – fra acquisizioni, vendite, avvicendamenti e viavai di dirigenti – che le due Atari, quella del 1972 e quella del 2023, sono praticamente due società diverse.
L’unica cosa che le accomuna è il nome, appunto, e anche una pesante eredità: perché il nome Atari e il suo logo – quello pensato dai suoi fondatori negli anni 70 per ricordare il monte Fuji – restano molto riconoscibili.
È anche su questo aspetto che la dirigenza di Atari, guidata dall’amministrazione delegato Wade Rosen, sta provando a puntare.
Possiamo stabilire il 2009 come momento in cui prende forma l’Atari di oggi, che, attenzione, è una holding francese e non statunitense.
Prima è successo un po’ di tutto: la vendita a Warner Bros. nel 1976; il passaggio, a metà degli anni 80, della divisione computer e console nelle mani di Jack Tramiel, ex dirigente di Commodore; poi il passaggio del marchio a Hasbro, che è stata poi acquisita da Infogrames, che ha cambiato poi nome in Atari Inc., che al mercato mio padre comprò.
Lo avevo detto: storia lunga.
Perciò, andiamo direttamente al 2009, cioè l’anno in cui Infogrames Entertainment SA decide di cambiare nome in Atari SA. Tale nome permane tutt’oggi e le statunitensi Atari Inc. e Atari Interactive ne sono sussidiarie.
Nel 2013, però, tutte le entità di Atari dichiarano bancarotta, così da poter accedere a sussidi di vario tipo. Nel mentre, tante proprietà di Atari, in primis i suoi marchi, vengono venduti a varie società terze.
Negli anni successivi Atari cambia strategia, allontanandosi dai videogiochi, ma tentando in ogni modo di far valere il suo marchi. Per esempio, con i casinò. In pratica, giochi storici come Asteroids e Missile Command diventano i tema di tavoli da blackjack e poker. Poi, anche con gli hotel.
Intanto, nel 2020 Rosen erano diventato il presidente del consiglio direttivo dopo aver acquisito delle quote da Frédéric Chesnais, che era amministratore delegato da alcuni anni.
Rosen diventerà poi amministratore delegato, com’è tutt’ora, ad aprile 2021. A quel punto prenderà forma la ristrutturazione che ci porta all’identità attuale di Atari. Due mesi dopo, Chesnais lascia il consiglio direttivo.
Cos’è Atari oggi
Nel 2021 Rosen decide di dividere le attività di Atari in due aree distinte. In primis, Atari Gaming, per la produzione di videogiochi, hardware e licenze dei suoi marchi, e poi Atari Blockchain, per i progetti sul Web3.
Soprattutto, Rosen decise di ridimensionare i progetti legati al mobile e quelli gratuiti in generale per tornare a produrre giochi premium – leggasi: venduti a prezzo pieno – su console e PC. Ciò in particolare perché il mondo mobile richiede volumi enormi.
“O sei Supercell e hai un successo incredibile o no”, ha spiegato Rosen in un’intervista a VentureBeat. “È un’altra cosa che abbiamo apprezzato di questa mossa. Con i giochi premium per console e PC, possiamo attirare la nostra base di appassionati”.
Spiegando la strategia, Rosen disse che il nuovo posizionamento sarebbe stato più allineato alla cultura di Atari. Oltre alla scontata realizzazione che Atari è conosciuta soprattutto come produttore di videogiochi e non come azienda di casinò e di hotel.
Per quanto riguarda i videogiochi, la strategia di Atari si divide in tre parti, ha spiegato Rosen:
- riportare in auge i giochi classici;
- rimasterizzare i giochi classici attraverso la linea Recharged con “moderne sensibilità”;
- reimmaginare le sue proprietà intellettuali, “che possono avere dei legami con i classici, ma in realtà si tratta di giochi completamente diversi”.
Tale strategia ha dato vita, di recente, a riedizioni “Recharged” di classici di Atari come Yars, Breakout e Asteroids, oltre che Atari Mania – una raccolta di minigiochi ispirati ai classici di Atari – e Akka Arrh di Jeff Minter.
Inoltre, di recente Atari ha acquisito le proprietà intellettuali di giochi degli anni 80 come Berzerk e Frenzy.
Ora è più chiaro dove si inserisce l’acquisizione di Nightdive: la loro competenza nel restaurare giochi passati verrà molto comoda ad Atari per concretizzare la sua visione.
I videogiochi sostengono l’Atari di oggi
Nonostante il calo dell’interesse verso i progetti di blockchain e criptovalute – anche se mai azzerato – Atari Blockchain resta attiva e vegeta.
Anzi, a maggio del 2022 ha lanciato Atari X per consolidare le sue iniziative attorno alla blockchain e al Web3 e ha collaborato con varie realtà del settore, fra cui The Sandbox, dove Atari possiede delle terre virtuali, e Nifty Labs per la creazione del suo token.
Va anche detto, però, che questo lato sembra aver rallentato parecchio: il profilo Twitter è seguito da 9 persone e non ha più pubblicato niente dallo scorso settembre.
Bisogna capire una cosa. Nonostante l’ambizione di riconsolidare il marchio Atari come un marchio di iniziative di successo, l’Atari di oggi resta molto modesta nei risultati. Intanto perché l’organico è ridotto: a marzo 2022 Atari impiegava 22 persone, di cui 18 negli Stati Uniti.
Nella prima metà dell’attuale anno fiscale, per esempio, ha generato ricavi per 4,3 milioni di euro, in calo del 27% su base annua, legati perlopiù alle prestazioni della divisione videogiochi, che ha generato 2,8 milioni di euro ed è cresciuta del 10%.
Le vendite hardware – legate soprattutto al VCS – sono invece crollate.
In relazione al suo token, Atari ha detto che “il progetto è ancora nelle prime fasi del suo sviluppo” e che sta considerando le opzioni disponibili in virtù del quadro normativo così come “dell’attuale incertezza attorno all’ambiente commerciale della blockchain”.
Nell’intero anno fiscale precedente, invece, Atari ha registrato un fatturato di 14,9 milioni di euro, in calo del 21% su base annua.