Succede praticamente ogni volta. Esce o viene annunciato il rifacimento di un videogioco per console moderne e scattano i confronti grafici. Che sulla carta, sarebbero parte interessata di un’analisi più estesa: la tecnologia originale ha ovviamente influenzato e indirizzato scelte come la nebbia di Silent Hill o il cappello di Super Mario, visti i limiti dell’elaborazione. Ma ogni volta che escono queste immagini – sui social e non solo – il confronto è sempre un “era meglio prima” o “è meglio oggi”. Peraltro, questo confronto spesso non riguarda la tecnica; ma proprio la posizione degli oggetti e dei personaggi, come erano fatti o che colore avevano, nell’originale.
Io credo che alla base di questo ragionamento – legittimo – ci sia però un fraintendimento. Ossia il presupposto che un rifacimento, come quello recente di Silent Hill 2, debba essere una replica dell’originale. In altre parole, essere l’originale ma portato ai giorni nostri.
Secondo me invece sono due videogiochi diversi; e come tali dovrebbero essere considerati. Il remake non va a sostituire l’originale, sebbene possa essere stato pubblicato decine di anni fa, in alcuni casi: ne rappresenta una nuova iterazione, una nuova interpretazione, persino.
Nel momento in cui si esperisce il rifacimento di Silent Hill 2, non si sta davvero giocando a Silent Hill 2, inteso come il videogioco uscito nel 2001 su PlayStation 2. Si sta giocando a sua versione nuova; che quindi sarà per forza diversa. Nelle scelte tecniche, nelle scelte creative e talvolta introducendo scene nuove, anche se prova a riprendere l’originale. (Senza scomodare operazioni “remake” come Final Fantasy VII, così distanti dall’originale dall’essere diventato una trilogia con tante cose inedite.)
Lo stesso discorso vale per operazioni apparentemente meno invasive, come le rimasterizzazioni, il cui scopo, in teoria, è solo di “svecchiare” la componente grafica; ma invece celano una modifica spesso rilevante dell’esperienza di gioco. Come quelle che hanno coinvolto la trilogia originale di Tomb Raider; o quella di Legacy of Kain: Soul Reaver che uscirà entro la fine dell’anno; o quella di Horizon Zero Dawn.
Il confronto grafico nasconde, in molti casi, la volontà di tornare indietro nel tempo a quel gioco originale lì: il non riuscire a trovarlo o riconoscerlo – per le modifiche grafiche, per scelte che sono state cambiate e altro ancora – crea un distaccamento fra l’aspettativa (spesso nostalgica) e il risultato finale. Proprio perché, di base, ci si aspettava quasi un “cunicolo spazio-temporale videoludico” che potesse fingere che non siano passati dieci, venti o trent’anni dal videogioco originale.
Massimiliano
Il 26 ottobre 2004 usciva Grand Theft Auto: San Andreas. Pochi giorni dopo, il 29 ottobre, sarebbe uscito anche in Europa e in Australia. Sono passati quindi vent’anni dal debutto del videogioco che fino all’uscita di Grand Theft Auto V, nel 2013, è stato il più venduto della serie, che va avanti dal 1997.
La versione originale di Grand Theft Auto: San Andreas ha venduto 27,5 milioni di unità, rivelò a Kotaku l’editore Take-Two nel 2011. Di queste 4,5 milioni solo nella prima settimana.
Certo, San Andreas è uscito sulla console più venduta di sempre; quella PlayStation 2 che ha spostato più di 155 milioni di unità. Poco meno di quelle che PlayStation 3 e Xbox 360 (la generazione di GTA IV) hanno fatto messe insieme. È interessante, però, che sia servito GTA V a superare quel record di vendite: perché GTA V è un’anomalia supportata da oltre dieci anni e che è stato pubblicato su tre generazioni di console.