Nei giorni scorsi altre due persone sono state licenziate nella redazione di Kotaku. Una terza ha scelto di andarsene volontariamente. Già a luglio l’edizione australiana di Kotaku era stata chiusa.
Sempre nei giorni scorsi altre persone ancora sono state licenziate da GameSpot, dove già l’anno scorso c’erano stati tagli al personale.
Poche settimane fa trenta persone sono state licenziate da Gamurs Group, fra cui lavoratori di Dot Esports, Destructoid e Twinfinite. Dopo che già lo scorso luglio aveva ridimensionato l’organico.
In estate ha chiuso la storica testata Game Informer, di cui non esiste neanche più un archivio online. E lo stesso è successo alla rivista Play.
Poi, nel 2023 hanno chiuso l’ottimo verticale sui videogiochi del Washington Post, Launcher, e Waypoint, che faceva parte di Vice.
I licenziamenti fra i giornalisti fanno un po’ meno rumore rispetto a quando le stesse situazioni colpiscono gli studi di videogiochi. Intanto perché sono meno eclatanti: 2, 3, 4 persone in meno può sembrare normale amministrazione. In anni in cui spesso si è parlato di licenziamenti che hanno coinvolto centinaia di persone alla volta nelle grandi aziende.
Si potrebbe parlare a lungo del ruolo dell’informazione nei videogiochi: ritenuta a volte inutile, a volte superflua; talvolta schierata o incompetente. E si potrebbe parlare a lungo di cosa l’informazione stessa abbia fatto per contrastare certe accuse e per slegarsi dalle grandi aziende (che spesso abbandonano l’informazione per proprio interesse).
Ma la verità è che questi licenziamenti fanno meno rumore anche perché, in fondo, i giornalisti e più in generale gli addetti all’informazione stanno antipatici. Una porzione del pubblico ritiene questi licenziamenti giusti o meritati. Nel caso migliore, il lavoro svolto da queste persone è ritenuto inutile. E quindi, anche se ora assente, non una mancanza grave.
Ovviamente io sono parziale: faccio il giornalista di mestiere e Insert Coin è un progetto d’informazione.
Ma non bisogna essere simpatizzanti di una testata – che sia Kotaku o Game Informer o Eurogamer Italia, chiusa nel 2022 – per capire che ogni volta che una redazione viene ridimensionata; che un sito chiude; che l’eredità di una rivista viene azzerata; che l’informazione può fare affidamento su meno persone, meno organizzazione, meno possibilità di lavorare bene; che ogni volta che un colpo simile viene inferto all’informazione – anche nei videogiochi – a perderci sono le persone che poi i videogiochi li consumano. Io. Voi. Noi.
Esattamente come a chi ritiene che i videogiochi non debbano essere politici deve importare, eccome, del modo in cui vengono realizzati i videogiochi (perché ciò influenza ogni aspetto di essi), allo stesso modo dovrebbe importare se queste persone – che parlano di videogiochi e che possono stare dietro a ciò che fanno le aziende – riescono a fare o meno il loro lavoro. O in che condizioni lo fanno.
L’informazione non è tutta bella, non è tutta ideale e non è sempre fatta bene. Si sa, mica ve lo devo dire io. Ma è necessaria.
Il mio timore è che ciò sarà evidente quando praticamente non ci sarà nessuna persona rimasta a portarla avanti a tempo pieno.
Massimiliano
Un licenziamento è la prima parte di un problema. La seconda, ovviamente, è trovare un altro lavoro.
Dal 2022 a oggi oltre 30 mila persone sono state licenziate: da gruppi grandi e piccoli; studi indipendenti hanno chiuso per mancanza di finanziamenti. E le probabilità, per queste persone, di continuare a lavorare nel mondo dei videogiochi sono basse. E anche quando ci riescono, hanno prima dovuto aspettare molti, molti mesi.
Amir Satvat è il direttore per lo sviluppo del business di Tencent, gruppo cinese che possiede, fra gli altri, i creatori di League of Legends, cioè Riot Games, e quelli di Clash Royale, cioè Supercell. Oltre a questo, Satvat ha coltivato (su LinkedIn specialmente) una comunità per supportare chi sta cercando lavoro nel settore, visti i tanti licenziamenti registrati negli ultimi anni. E il suo ultimo rapporto, basato sulle risposte fornite da oltre 1.200 membri, ha rivelato alcuni dati importanti.
Una cosa è dire che ci stiamo perdendo talenti, che è complicato trovare un altro lavoro e che così l’industria, tutta, ci perde e basta. Un altro è vederne gli effetti.