Gli NFT (Non Fungible Token, oggetti virtuali unici la cui proprietà viene certificata tramite blockchain) nei videogiochi continuano a far parlare di sé. In due modi: piovono milioni di dollari di investimenti e sempre più aziende specializzate negli NFT valgono miliardi di dollari; ci si chiede se gli NFT nei giochi siano necessari.Partiamo dal lato finanziario e aziendale:
- SoftBank ha annunciato di aver investito 93 milioni di dollari in The Sandbox, in cui i giocatori possono “giocare, costruire, possedere e monetizzare le loro esperienze virtuali”
- GameStop sta organizzando un gruppo di ingegneri, designer, giocatori, esperti di marketing e di community dedicato agli NFT
- Mythical ha raccolto 150 milioni di dollari. Ora ne vale 1,25 miliardi
- Ubisoft intende creare la propria blockchain per i giochi (nelle scorse settimane ha investito in Animoca Brands e fa parte della Blockchain Game Alliance)
- Per l’amministratore delegato di Electronic Arts, Andrew Wilson, gli NFT sono parte del futuro dell’industria
- Ci crede molto anche l’amministratore delegato di Take-Two, Strauss Zelnick, con qualche riserva
Se leggi regolarmente la newsletter, sai che questa è più o meno la fotografia di ogni settimana: tanti investimenti e tante aziende che sostengono che gli NFT cambieranno le regole del gioco tramite il concetto di “play to earn”, ossia giocare ai videogiochi e guadagnare tramite la vendite degli oggetti unici, guadagnati o appositamente realizzati. Un lavoro, insomma.
Sul secondo aspetto, faccio riferimento a un thread scritto sul tema su Twitter da Max Nichols, designer tecnico di livello senior presso Bungie Studios, perché ha riassunto i principali aspetti da considerare.
Intanto, l’unicità degli oggetti, il cuore dell’idea dietro gli NFT, può essere garantita da un qualsiasi generatore casuale. “La proprietà o la cronologia di gioco potrebbe essere tracciata con un normale database, che non richiede una configurazione energivora basata sulla blockchain” secondo Nichols.
C’è poi l’aspetto delle motivazioni nel giocare: intrinseca (mi diverto perché mi piace giocare) o estrinseca (una motivazione esterna giustifica ciò che faccio).Gli NFT appartengono a questa seconda sfera: “Se qualcuno ti paga per fare qualcosa che ti piace, probabilmente la godrai di meno”, ha scritto Nichols, perché la motivazione estrinseca (fare soldi) è meno efficace nel gratificare rispetto a quella intrinseca. Un lavoro, insomma.
Inoltre, Nichols sostiene che l’idea di monetizzare con denaro reale gli oggetti dei giochi sia già possibile: vendente gli account degli MMO su eBay, per esempio.
Devo contestare quest’ultima considerazione: farlo viola i termini di condizioni dei giochi. Nei casi in cui sono implementati gli NFT fanno parte dell’esperienza pensata dallo sviluppatore; quindi, garantiscono la possibilità di monetizzare senza dover appoggiarsi a schemi non approvati.
Io credo che sarà il mercato – inteso come la risposta dei giocatori a questo tipo di esperienze – a decidere se i videogiochi con gli NFT avranno un futuro o no.
Ricordo grandi occhi sbarrati quando arrivarono i primi contenuti aggiuntivi scaricabili a pagamento: oggi invece fanno parte della pianificazione della maggior parte dei videogiochi lanciati sul mercato.
Anche il “season pass”, tramite cui avere accesso a tutti i contenuti aggiuntivi che arriveranno in un gioco anziché pagarli singolarmente, è stato osteggiato: oggi è ancora usato in tanti giochi online.
Le “loot box” (i pacchetti di oggetti casuali che i giocatori possono acquistare in alcuni giochi) sono invece state frenate dalla legislazione (in Belgio, per esempio, sono vietate) e dalla forte opposizione dei giocatori a tale meccanica.