Oggi la parola magica è il metaverso. Non passa giorno senza che se ne parli: perché qualcuno ha investito 650 mila dollari per uno yacht virtuale; o perché sono stati spesi oltre 100 milioni di dollari in pezzi di terra virtuali in piattaforme online come The Sandbox e Decentraland. Sono esempi, questi, di ciò che potrebbe essere il futuro metaverso: un mondo virtuale dove comprare cose virtuali per vivere esperienze virtuali.
Ho letto con una certa curiosità, quindi, l’intervista che Philip Rosedale rilasciata ad Axios in cui si dice molto scettico sul metaverso. Perché Rosedale, che ha fondato Linden Lab, ha dato vita a Second Life: la cosa più vicina al metaverso che esisteva (ed esiste tutt’ora) prima che il metaverso diventasse una parola chiave del business. Società come Meta (ex Facebook), Epic Games, Roblox e Nvidia stanno puntando sul metaverso per estendere la portata delle proprie applicazioni, fra cui avatar virtuali e Intelligenza Artificiale.
Intanto, secondo Rosedale, il metaverso “non è per tutti e magari non sarà mai per tutti”. Soprattutto, però, i limiti di Second Life, che esiste dal 2003, sono gli stessi che oggi vengono assegnati al metaverso e per tutte le esperienze online, come Fortnite di Epic Games e Roblox, che oggi vengono considerate la cosa più vicina al metaverso: per dinamiche commerciali, esperienze che abilitano e opportunità tecnologiche.
“Rimane la pesante questione di cosa porterà, per dire, le persone normali a spendere un sacco di tempo in questi spazi online?” si è chiesto Rosedale. “E penso che non abbiamo ancora risposto a questa domanda”.