Come si stanno muovendo le aziende di videogiochi cinesi

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Blizzard e NetEase hanno annunciato che l’accordo di pubblicazione dei videogiochi di Blizzard, come World of Warcraft e Overwatch, in Cina non è stato rinnovato oltre alla data di fine dell’attuale collaborazione, fissata il 23 gennaio.

Nella nota pubblicata sul sito ufficiale, Blizzard riferisce che alla luce del mancato rinnovo dell’accordo saranno sospese le attività di giochi come World of Warcraft. Overwatch, Diablo 3, Hearthstone e Warcraft 3: Reforged, e nei prossimi giorni saranno già sospese le vendite. In pratica: fino a che Blizzard non troverà un’altra azienda cinese con cui collaborare, le persone in Cina presto non potranno più giocare a quei giochi.

Secondo la versione di Blizzard, “le due parti non hanno raggiunto un accordo sul rinnovo che fosse consistente con i principi operativi e gli impegni verso i giocatori e i dipendenti di Blizzard”.

L’amministratore delegato di NetEase, William Ding, ha detto che “c’erano delle differenze materiali su termini chiave” che hanno impedito l’accordo. Diablo Immortal, lanciato poco tempo fa su mobile, resterà attivo in quanto incluso in un differente accordo.

In Cina le aziende estere non possono pubblicare videogiochi senza la collaborazione di un’azienda locale ed è per questo che, appunto, nel 2008 Blizzard strinse una partnership con NetEase per pubblicare i suoi giochi.

BBC ha riportato che lo scorso anno l’accordo con NetEase è valso il 3% dei ricavi per Activision Blizzard King, ossia circa 264 milioni di dollari. Il mancato rinnovo potrebbe far calare i ricavi di NetEase del 6-8% secondo una stima di Daiwa Capital Markets citata da Reuters, poiché i giochi di Blizzard rappresentano fra il 60 e l’80% del 10% che valgono i giochi su licenza nel bilancio di NetEase.

Cosa significa questo mancato rinnovo? E cosa ci dice, inoltre, del mercato cinese dei videogiochi? Tanto, a dire il vero.

La situazione in Cina

La Cina è un mercato a sé. Non lo è solo nei videogiochi: non ci sono WhatsApp, Google e Twitter; ma ci sono WeChat, Baidu e Weibo. Il marketplace online di riferimento non è Amazon: è Alibaba.

Allo stesso modo, per tanto tempo il mercato cinese dei videogiochi ha vissuto di dinamiche tutte sue. Per esempio, per anni le console di Microsoft, Sony e Nintendo non sono arrivate ufficialmente in virtù di un divieto all’importazione imposto primi anni 2000 e nel 2014.

Ciò ha dato vita a un mercato in cui si gioca principalmente su PC e su smartphone, il che ha dato vita a un mercato molto diverso da quello occidentale, anche in virtù dei generi predominanti su PC e mobile rispetto alle console.

Per tanto tempo, comunque, le aziende non hanno considerato più di tanto il mercato cinese proprio perché era complesso arrivarci: spesso non era sufficiente portare il proprio videogioco, ma serviva trovare il prodotto giusto che facesse presa sui gusti dei videogiocatori cinesi. L’accordo di Blizzard con NetEase nel 2008 è stato uno dei primi esempi. Inizialmente, riguardava una manciata di giochi strategici: StarCraft II, Warcraft III: Reign of Chaos e Warcraft III: The Frozen Throne. Pian piano si è espanso coinvolgendo i nuovi giochi di Blizzard.

Per pubblicare un videogioco in Cina è necessario ottenere una licenza, che viene rilasciata da un ente governativo, la National Press and Publication Administration (NPPA). Si tratta di un processo che può richiedere anche mesi e a volte non avere successo.

Per molti mesi recenti, Tencent e NetEase, le due più grandi società videoludiche cinesi (anche se entrambe sono attive su altri fronti), sono state escluse dalle licenze rilasciate, per esempio, con forti compromissioni della loro strategia locale. Solo pochi giorni fa, un gioco di Tencent ha ricevuto l’approvazione, Metal Slug: Awakening, ha riportato Bloomberg.

Allo stesso tempo, spesso per avere quella licenza serve sottostare a determinate regole legate a come il governo guidato dal Partito Comunista Cinese intende controllare ogni contenuto culturale che viene diffuso nel Paese. A settembre 2021, il South China Morning Post riferì delle linee guida del NPPA, che stabiliscono che i videogiochi devono rispettare i valori del Paese.

E le aziende di videogiochi lo hanno fatto puntualmente:

  • la versione cinese di Final Fantasy XV ha previsto delle modifiche perché alcuni personaggi erano troppo svestiti;
  • in Cina PlayerUnknown’s Battlegrounds (PUBG) si chiama Game for Peace e ha richiesto profonde modifiche;
  • Fortnite in Cina non ci è mai arrivato. Di recente Epic Games ha scelto di smettere di provarci;
  • la versione cinese di Rainbow Six Siege non ha schizzi di sangue, riferimenti a teschi e alle droghe.

(Bada: vale per tutte le società. Molti film sono censurati in Cina e grandi multinazionali, come Apple, preferiscono evitare scontri con il governo perché la Cina è un mercato fondamentale.)

Perché sopportare tutto questo? Perché semplicemente il mercato cinese dei videogiochi è il più grande al mondo. Secondo le stime per il 2022 della società di analisi Newzoo, entro la fine dell’anno in Cina saranno stati spesi 45,8 miliardi di dollari, più dei 45 miliardi degli Stati Uniti. In Cina ci sono 701,8 milioni di giocatori.

Ignorare la Cina, insomma, non si può. Allo stesso modo, nemmeno la Cina può ignorare il resto del mondo.

Il nuovo focus

Il mercato cinese sta vivendo alcuni momenti rilevanti.

Alcuni esempi recenti:

  • a settembre 2021 è stato imposto che i minorenni non possono giocare più di tre ore alla settimana ai videogiochi. Secondo la società di analisi Niko Partners, il 77% dei giocatori più giovani ha ridotto il tempo che passa con i videogiochi e il 54% rispetta i limiti imposti;
  • il forte rallentamento nella concessione delle licenze ha messo in difficoltà società come Tencent e NetEase;
  • per la prima volta in vent’anni, nel 2022 il mercato cinese registrerà un calo dei ricavi, sebbene modesto (-2,5%).

Se le restrizioni imposte ai minorenni sono una novità recente e il calo dei ricavi è passeggero, la situazione delle licenze è invece un problema serio. Pur con centinaia di milioni di giocatori attivi, focalizzarsi solo sulla Cina non basta più: è sempre più difficile pubblicare nuovi giochi e le regole governative sono diventate sempre più stringenti.

Perciò, Tencent e NetEase, soprattutto, hanno iniziato a espandersi al di fuori della Cina.

Negli ultimi anni Tencent ha acquisito la totalità o la maggioranza delle quote di varie società di videogiochi fuori dalla Cina, fra cui: Riot Games (League of Legends), Supercell (Clash Royale), Funcom (Age of Conan), Yager Development (Spec Ops: The Line), Turtle Rock Studios (Back 4 Blood), Klei Entertainment (Don’t Starve), Tequila Works (Deadlight), Sumo Group (Sackboy: una grande avventura). E ciò in cima agli investimenti già fatti in Epic Games, Ubisoft, Roblox, Discord e Don’t Nod.

Come ulteriore focus sui mercati internazionali, Tencent ha aperto Lightspeed LA, filiale californiana di Lightspeed, uno degli studi di Tencent, mentre Timi Studio (sviluppatore di Call of Duty Mobile e Pokémon Unite e sempre facente parte di Tencent) ha aperto uno studio a Los Angeles e uno a Montreal, in Canada, per produrre giochi ad alto budget per PC e console.

Inoltre, il più grande successo di Timi Studio, il gioco mobile Honor of Kings, uscirà presto in tutto il mondo, di fatto confermando che l’equivalente occidentale, chiamato Arena of Valor, non ha avuto il successo sperato.

Anche NetEase si è mossa allo stesso modo, acquisendo Grasshopper Manufacture (No More Heroes) e Quantic Dream (Detroit: Become Human) e stabilendo uno studio negli Stati Uniti (Jackalope Games, in Texas) e uno in Giappone (GPTrack50, guidato da Hiroyuki Kobayashi, noto per essere stato producer della serie Resident Evil).

Inoltre, il battle royale Naraka: Bladepoint ha dimostrato sia la volontà sia la capacità di NetEase di spaziare fuori dalla Cina: uscito ad agosto 2021 su PC Windows, ha venduto 6 milioni di copie in tre mesi.

Un ponte a due vie

Per anni le aziende cinesi sono state considerate un ponte che le società occidentali potevano usare per entrare nel mercato locale: conoscono le normative e gli interessi del pubblico locale e sono accettate dagli enti governativi. Ma quel ponte, in realtà, ha due sensi e uno di questi porta anche dalla Cina verso l’Occidente.

C’è un’altra cosa da considerare. E cioè che le case di sviluppo cinesi non sono più una cosa piccola, ma sono capace di generare esperienze di gioco che catturano l’interesse internazionale.

Un esempio concreto è Genshin Impact, sviluppato da MiHoYo e disponibile su mobile – dove ha generato oltre 3 miliardi di dollari di ricavi – e su console PlayStation. Se consideriamo che Sony prende il 30% per ogni transazione, è chiaro il motivo per cui Genshin Impact è un gioco tanto favorevole nel contesto di tale strategia.

Inoltre, il successo di Genshin Impact è stato tale che, secondo Reuters, Microsoft sta cercando nuovi talenti e nuove proprietà intellettuali in Cina che possano avere lo stesso impatto e possano – anche, ma non solo – arricchire il catalogo del servizio Game Pass.

Anche nel mondo dei videogiochi, quindi, la Cina può essere considerata una moderna via della seta, che lega a doppio filo chi produce e fruisce dei giochi in Cina con chi produce e fruisce dei giochi nel resto del mondo.

Per altro, le società cinesi stanno dimostrando di aver passato anni a migliorarsi e di avere oggi la portata e i mezzi per competere a livello internazionale. Non è scontato che si possa dire lo stesso per le società occidentali interessate al mercato cinese.