Cambiare i modi

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Nei giorni scorsi è emersa la portata dell’attacco informatico rivolto a Insomniac Games. Un gruppo di criminali informatici ha rubato e poi pubblicato, dopo non aver ricevuto il pagamento richiesto, molte informazioni che riguardano i videogiochi passati, presenti e futuri in sviluppo, i documenti personali dei dipendenti e altri dettagli dell’accordo con Marvel (qualche info in più nelle notizie in breve).

Al centro, quindi, ci sono stati dettagli rivelati sui videogiochi di cui non si sarebbe dovuto sapere niente per ancora un po’ di tempo.

Sia chiaro: per i videogiochi che usciranno nel 2029, per dire, al momento si parla di un titolo su un pezzo di carta: non c’è niente, di quelle produzioni; nemmeno una bozza. È diverso il discorso che ha riguardato, per esempio, Marvel’s Wolverine, di cui ufficialmente si sa solo che esiste, dopo l’annuncio del 2021; e le cui immagini e video trapelati hanno quindi mostrato qualcosa che esiste in una forma abbozzata e preliminare.

Ora, secondo me di tutta questa faccenda c’è una cosa da sottolineare – al di là del fatto di cronaca in sé, che è soprattutto quello di un attacco informatico.

La sofferenza degli sviluppatori deriva in gran parte dal fatto che dopo anni di silenzio, anni in cui si è lavorato – e si sta ancora lavorando – su qualcosa, all’improvviso quel qualcosa emerge secondo modalità non previste, sicuramente non volute; rovinando quindi quell’atteggiamento di rispettoso silenzio che i dipendenti sono stati chiamati a seguire.

Perciò è normale e condivisibile la reazione di furia: per anni, ogni giorno, fai un lavoro di cui non puoi parlare liberamente. E quando se ne parla, lo si fa in un modo che rovina, in un certo senso, tutto questo.

Mi chiedo, allora, se tutta questa segretezza che il settore si porta dietro non esasperi questa situazione. Cioè se non sarebbe meglio, in realtà, essere un po’ più trasparenti, perlomeno rispetto ai videogiochi a cui si sta lavorando; mostrarli anche quando si trovano in una fase di sviluppo arretrata – com’è capitato in alcuni casi, come Skate.

Soprattutto ora che i videogiochi come quelli prodotti da Insomniac Games, che hanno budget che superano i 300 milioni di dollari, richiedono sempre più anni di sviluppo; e quindi richiedono a chi ci sta lavorando sempre più anni di religioso silenzio. Posso immaginare lo stress e l’ansia a che livelli arrivino, in una simile situazione.

Insomma, non manifestare il videogioco soltanto in specifiche situazione dettate dal marketing potrebbe, forse, limitare la frustrazione degli sviluppatori e di tutte le persone che lavorano a un videogioco per anni.

Ma capire come smuovere i cardini di questa segretezza potrebbe anche ridurre il clima generale – altrettanto esasperato – di fervente attesa, che porta il pubblico e i siti di informazione ad accalappiare ogni frammento, spesso inutile, di informazione che sembra riuscire, per un secondo, a placare quella fame di sapere qualcosa di nuovo, qualunque cosa sia. Un clima generale che, purtroppo, contraddistingue questo settore da tanti anni.

Da diverso tempo, per esempio, Marvel dice a quali film sta lavorando e quando usciranno, a grandi linee, anche se non hanno neanche un titolo definitivo. Anche se poi quella linea temporale cambia per un motivo o per l’altro; o scelte produttive vengono modificate per decisioni commerciali o perché un attore viene condannato per molestie.

Mi rendo conto che non è facile. Perché, per esempio, si parla anche di società quotate in borsa, o sussidiarie di società quotate in borsa, e quindi ogni minimo movimento viene soppesato centomila volte. E poi perché i progetti videoludici spesso cambiano direzione creativa e produttiva: non ci si può aspettare che ogni singola volta lo studio ne dia comunicazione pubblica.

Ma ho l’impressione che ogni anno che passa questa specifica situazione – le aspettative, la segretezza, il rapporto con il pubblico, la sottrazione di informazioni che vengono pubblicate in anticipo – sia sempre più difficile da sostenere.

Perciò, potremmo, magari, concentrarci – come settore: dai produttori ai giornalisti – su ciò che si può controllare.

E se l’informazione ha, come sempre, un ruolo centrale nel filtrare cosa si deve dire e, forse ancora più importante, come lo si deve dire – evitando imbarazzanti morbosità – allora credo che si debba provare a valutare anche un cambiamento generale, pur graduale, del modo in cui viene raccontato l’intero sviluppo.

In nessun modo ciò giustifica il furto di informazioni: non è colpa dei dipendenti che dovevano stare in silenzio. Ma poterne parlare più liberamente, però, renderebbe tali informazioni meno rilevanti se e quando fuoriescono (non irrilevanti, però) e anche meno gravoso il peso emotivo sulle persone.