Chi è la nuova presidente di Blizzard

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Una delle rubriche di Gamesindustry si chiama 10 Years Ago e, come il nome lascia intendere, fa una cosa molto intelligente: guarda a cosa veniva scritto, in un dato giorno, dieci anni fa. Uno sguardo rivolto all’indietro è spesso molto utile: perché, con il senno di poi, si riesce a capire se alcune cose sono cambiate o se, magari, eventi che in quel dato momento credevamo incredibili in realtà si sono dimostrati poco più che tendenze temporanee.

In uno degli ultimi articoli, Gamesindustry ha ricordato cosa stava accadendo nel 2014 attorno a Nintendo: Wii U stava andando male. Come sappiamo, andò solo peggio ed è diventata la console meno venduta della lunga storia di Nintendo, con appena 13,5 milioni di unità vendute e 103 milioni di videogiochi. La metà di GameCube, per intenderci; che a sua volta non viene ricordato come un grande successo.

E quindi, che si diceva al tempo?

Con un Nintendo 3DS che non aveva la potenza della precedente console portatile e con Wii U in tale difficoltà, la società, allora ancora gestita dall’amministratore delegato Satoru Iwata, doveva fare i conti con la possibilità di dover cambiare strategia; anzi con l’impellenza di doverlo fare.

Nintendo pensò a varie cose. Intanto, a puntare di più sui videogiochi mobile, per espandere l’impronta delle sue proprietà intellettuali. Super Mario Run è arrivato su iOS nel 2016 e non andò benissimo: costava 10 euro e ciò era quasi blasfemo in uno spazio, i videogiochi su smartphone, dove gli utenti sono abituati a non pagare. Seguirono poi esperienze più fortunate, come Fire Emblem Heroes (che ha superato il miliardo di dollari di ricavi) e Animal Crossing Pocket Camp; ma i videogiochi mobile per Nintendo hanno sempre rappresentato il 3-4% dei ricavi, quando è andata bene.

Ma Nintendo valutò anche idee più appariscenti. Per esempio, di puntare sui dispositivi per la salute: iniziativa mai decollata. Alcuni analisti, poi, suggerirono che Nintendo avrebbe dovuto comprare altre società giapponesi, come SEGA o Capcom, per risollevarsi; o che avrebbe dovuto investire nella realtà virtuale.

E ancora, un analista in particolare, cioè Michael Pachter di Wedbush Securities, arrivò a dire che “è chiaro che il vecchio modello di Nintendo di un hardware proprietario supportato da un affascinante software proprietario si è rotto”.

Vi sto raccontando questa cosa perché spesso, quando si svolgono delle vicende, pensiamo che siano momenti di grande stravolgimento. Li viviamo come se fosse l’inizio della fine e a volte – lo facciamo soprattutto noi giornalisti – ci fa comodo vedere crisi e stravolgimenti un po’ ovunque. Pensiamo che sia la fine di un modello, di un modo di fare, di un aspetto del settore che avevamo dato per certo per tanto tempo: e ora, eccolo lì sotto i nostri occhi, il segnale che sta finendo tutto.

Perciò, dieci anni dopo, è molto interessante constatare che alla fine, dopo tante strane idee e molte retromarce e altrettante iniziative mezze fallite, Nintendo si è ripresa nel modo più ovvio ma anche più difficile da eseguire: ha proposto, con Nintendo Switch, un’ottima console e ottimi videogiochi.

Massimiliano


Blizzard ha annunciato chi ricoprirà il ruolo di presidente della società: è Johanna Faries.

Come ogni cambiamento al vertice, anche questo è molto importante. Sia perché Faries è una persona diversa da Ybarra – con tutto ciò che ne consegue – sia perché Blizzard non è una società come le altre e porta con sé aspettative diverse dalle altre.

Faries non arriva dall’esterno, bensì dall’interno del gruppo Activision Blizzard, la cui integrazione in Microsoft è stata completata proprio in questi mesi e ha comportato, fra le altre cose, il licenziamento di 1.900 persone ritenute in eccesso a seguito della fusione.