La difficoltà a preservare i videogiochi resta un problema

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Il 31 marzo chiuderanno i negozi online di Wii U e di Nintendo 3DS. Significa che tutti i giochi in digitale non saranno più acquistabili da un giorno all’altro.

Non è la prima volta che succede. Situazioni simili, forse ancora più impattanti, ci sono state quando, nel 2017, l’App Store di iOS è passato a supportare soltanto le applicazioni a 64-bit, lasciando indietro tutte le altre applicazioni che non sono state aggiornate (le applicazioni a 32-bit installate non potevano essere eseguite sui dispositivi da iOS 11 in avanti). E quelle applicazioni, ce le siamo perse. La stessa cosa è successa nel 2021 con il Play Store di Android.

O quando, sempre nel 2021, ha chiuso il negozio digitale di PSP – mentre le lamentele hanno salvato quello di PS3 e di PS Vita. Almeno per ora.

Il problema riguarda il modo in cui non stiamo conservando i videogiochi.

Il formato fisico per tanto tempo è stato un luogo sicuro; ma le moderne console spesso chiedono un aggiornamento del gioco anche per la primissima partita. Il che significa che il pezzo fisico può essere ugualmente inutile.

Nel perderci per strada i videogiochi, ci perdiamo pezzi di cultura, pezzi di storia.

Il problema più grave, forse, è che non ce ne stiamo davvero occupando.

L’assenza delle istituzioni

“Lo scoglio più grande è che forse manca un interesse pubblico a conservare il videogioco”.

A parlare è Andrea Dresseno, in Italia probabilmente la persona più esperta quando si parla di conservazione del videogioco. Per un semplice motivo: per anni è stato il responsabile dell’Archivio Videoludico che si trovava alla Cineteca di Bologna e che per anni è stata la maggiore iniziativa italiana per conservare i videogiochi.

Nel 2021, la Fondazione Cineteca ha scelto di darlo in gestione al Comune, che poi lo ha spostato successivamente all’interno della Salaborsa Lab, uno spazio multimediale che si trova presso l’ex biblioteca Ruffini, sempre a Bologna.

La biblioteca Salaborsa Lab è stata inaugurata a maggio 2022. Rispetto ai videogiochi, la nota stampa dice che “in Salaborsa Lab troverà spazio e verrà messo a disposizione di tutti anche l’Archivio Videoludico, recentemente donato al Comune dalla Fondazione Cineteca di Bologna.

Si tratta di una ricchissima collezione di migliaia di videogiochi – prosegue la nota – con le relative consolle [sic] che punta non solo a salvaguardare il patrimonio storico videoludico ma anche a promuovere un percorso di riflessione e analisi sul videogioco con gli altri strumenti di comunicazione di massa”.

Lo spazio alla Salaborsa Lab dedicato ai videogiochi

I perché di quella decisione – spostare l’archivio – sono ancora aleatori.

Di fatto, il principale archivio di videogiochi in Italia è stato travasato in due sale all’interno di uno spazio multimediale. I videogiochi sono fisicamente su degli scaffali aperti (cioè non protetti) e chiunque può accedervi liberamente.

Ho chiesto a Maria Chiara Corazza, che gestisce le collezioni della Biblioteca Salaborsa, maggiori informazioni su come sarà gestito l’archivio ereditato, che vanta 6.000 articoli.

Intanto, sta procedendo la fase di catalogazione, che andrà per le lunghe: se ne sta occupando una persona sola e “può durare anche anni”. Al momento sono stati catalogati un centinaio di giochi. “Però non toglie niente alla fruizione”, mi dice Corazza al telefono. “Si sta facendo un lavoro di verifica delle console, perché alcune sono degli anni 70, e anche quello è un lavoro lunghissimo. La piena e completa fruizione di tutto il materiale sarà fra qualche anno”.

Così come già faceva l’Archivio Videoludico l’intenzione è di ampliare la collezione, a un certo punto, facendo leva sul digitale, cioè interfacciandosi con gli editori per avere dei codici per i giochi più recenti.

L’Archivio Videoludico, quindi, è stato trasferito ed è diventato uno spazio per ragazzi e ragazze.

Ho chiesto alla Fondazione Cineteca di Bologna di spiegarmi le ragioni della scelta. Al momento di inviare questa newsletter non ho ancora ricevuto risposta. Vi aggiornerò nelle prossime settimane se riceverò una risposta.

I problemi di conservare i videogiochi

La collezione dell’Archivio Videoludico copriva – e copre tuttora – cinquant’anni di storia del videogioco.

Non ci sono tutti i videogiochi mai pubblicati, figuriamoci; ma tanti videogiochi venivano preservati e conservati e veniva garantita la fruizione in loco. Il prestito, invece, non era consentito.

“Quando aprimmo l’archivio, si scelse di non dare i giochi in prestito”, ricorda Dresseno. “Fu un accordo fra le parti”.

Ma non è solo questione di assecondare le preoccupazioni degli editori – che temono che proporre online le edizioni digitali dei giochi possa di fatto rendere pubblica una sala giochi online gratuita – perché secondo Dresseno ci sono benefici anche per la conservazione: “Bisogna distinguere fra conservazione e accessibilità: se cominci a prestare, i giochi si deteriorano”.

In altre parole, i videogiochi avrebbero bisogno sia di musei sia dell’equivalente delle biblioteche: sia di luoghi dove il videogioco viene conservato sia di luoghi predisposti a renderlo accessibile e fruibile da chiunque.

A oggi in Italia mancano serie iniziative sia in un senso sia nell’altro.

“Con IVIPRO facciamo solo conservazione”, dice Dresseno, riferendosi all’iniziativa di Collezione IVIPRO, che viene intesa dall’associazione “come risorsa ulteriore per approfondire e trasmettere la conoscenza del videogioco: partire dalle fonti primarie, ovvero i giochi”.

“Anche dovessimo trovare un posto, sarebbe comunque una fruizione in loco”, continua Dresseno. “Il problema del deterioramento degli oggetti rimane. Si potrebbe fare un luogo dove si conserva e un altro in cui si presta”.

Qua, però, subentrano altri problemi, più logistici.

Dove stabilire posti simili? E quante probabilità ci sono che siano davvero distribuiti sul territorio?

Perché oggi una persona che vuole accedere ai giochi conservati da IVIPRO o dalla Salaborsa Lab deve andare fisicamente a Bologna.

“Sicuramente avere più spazi di conservazione, più poli… Magari uno al sud, uno al centro e uno al nord renderebbe il tutto più raggiungibile”, immagina Dresseno. “Non avere un archivio in ogni città, ma in più aree del Paese”.

A conti fatti, però, il problema è a monte: nella cronica mancanza di iniziative e di supporto istituzionale, secondo Dresseno. “Deve partire tutto da loro. Ok la consapevolezza delle persone, ma se non c’è qualcuno che dia degli spazi e metta a disposizione dei fondi… le biblioteche esistono perché hanno dei fondi, anche se pochi”.

Gli editori collaborano con queste iniziative concedendo, quando possibile, copie fisiche o (sempre più spesso) digitali; ma per loro è un di più perché non hanno un interesse reale nel conservare i videogiochi.

“Non li giustifico, ma sono aziende: non spetta a loro investire sulla conservazione. Non è il loro compito”, continua Dresseno.

E infatti, puntualmente, le aziende fanno altro. Chiudono i negozi digitali, quando l’afflusso di utenti non legittima più le spese per i server. O semplicemente, quando è più ghiotta l’opportunità di chiudere dei negozi digitali e proporre dei classici in un abbonamento mensile, come sta facendo Nintendo con una serie di giochi per Game Boy e Game Boy Advance.

“Credo che dovrebbe esserci un deposito culturale anche per i videogiochi, come c’è per i libri, per cui va depositata una copia. Varrebbe anche per i videogiochi. Ci vorrebbe poco. Obbligare il produttore o l’editore a dare una o due copie a biblioteche italiane selezionate”.

(La Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, per esempio, è una delle biblioteche depositarie in Italia. Sul sito si legge: “Gli editori italiani, o gli altri responsabili della pubblicazione individuati a norma di legge, sono tenuti a consegnare a questa biblioteca, entro 60 giorni dalla prima diffusione pubblica, una copia delle opere monografiche o periodiche edite su supporto cartaceo o digitale”.)

Dresseno prosegue il suo impegno nella conservazione con la collezione di IVIPRO, ma è consapevole che non basta. “Può fare poco: nasce dal basso e non ha fondi. Facciamo tutto a costo zero con i bandi, quando li vinciamo”, ammette. “Non è un supporto costante”.

Peraltro, la collezione IVIPRO ha ricominciato da zero. Nella maggior parte dei casi, il videogioco viene comprato dai negozi online per poter essere conservato. Da questo punto di vista, GOG è la piattaforma più adatta: i giochi non sono protetti da sistemi anti-pirateria (DRM).

“Oggi ci sono ancora editori con cui sono rimasto in contatto e che, quando escono, ci mandano dei giochi”, racconta Dresseno. “Però non è il mio lavoro primario: ogni tanto chiedo e ogni tanto no. La collezione IVIPRO è cambiata molto: andiamo tanto su GOG, sui giochi DRM-free. Sono numeri inferiori, ma quello che conserviamo è realmente conservato: se lo compro su GOG, lo conservo davvero”.

In mancanza però di iniziative maggiori e ampie si tratta di un lavoro di pochi e, ancora di più, fortemente localizzato. Peraltro, la velocità con cui chiudono i negozi digitali e la capacità di iniziative come quella di IVIPRO – e di tutti le altre a livello internazionale – sono molto diverse.

Quando Nintendo annunciò, lo scorso anno, che avrebbe chiuso i negozi digitali di Wii U e 3DS, la Video Game History Foundation, organizzazione no profit che si occupa di preservare i videogiochi, scrisse su Twitter: “Sebbene sia una sfortuna che le persone non potranno più comprare i giochi digitali su 3DS o Wii U, comprendiamo la realtà di business sottostante alla decisione. Ciò che non comprendiamo è la strada che secondo Nintendo dovrebbero percorrere gli appassionati se dovessero desiderare di giocare quei giochi in futuro”.

La questione dei giochi online

Il problema riguarda anche i tanti giochi multigiocatore che vengono chiusi: una volta spenti i server, di quel videogioco restano ricordi e video online.

Anche per questo una delle figure più storiche del settore, John Carmack, di recente ha suggerito a chi sviluppa videogiochi di lasciare aperta la porta ai server privati o alle partite in rete locale: in modo tale che le persone che lo volessero potrebbero continuare a giocare.

“Anche se ci sono appena diecimila utenti attivi, distruggere quel valore per gli utenti dovrebbe essere evitato se possibile”, secondo Carmack.

Ed è ciò che farà, per esempio, Knockout City, di cui è stata annunciata la chiusura recentemente. Nei prossimi mesi uscirà una versione per PC che permetterà di usare i server privati per continuare a giocare.

Ma è una goccia nell’oceano, sempre più vasto e sempre più profondo.