Analizzare il mercato dei videogiochi degli anni passati non è una cosa semplice. Per lo stesso motivo per cui non è facile valutare con lucidità i videogiochi di qualche generazione fa: la nostalgia diventa fumo negli occhi, sfoca i difetti ed evidenzia i pregi. Ciò vale, appunto, anche per il mercato.
Durante l’edizione asiatica della Gamescom, l’ex amministratore delegato di Sony Interactive Entertainment America, Shawn Layden, ha commentato l’attuale stato dell’industria. Sottolineando, fra le altre cose, che stiamo perdendo i videogiochi a medio budget e che il costo in crescita dei videogiochi “tripla A” è un problema: un mantra che Layden ripete da anni.
Parlando della pubblicazione dei videogiochi, con particolare riferimento a quando uno sviluppatore ne propone uno nuovo a un editore, ha anche detto: “[In passato] spendevamo molto tempo a guardare i giochi senza chiederci ‘qual è il tuo schema di monetizzazione’ o ‘cosa intendi fare per avere ricavi ricorrenti’ o ‘qual è la tua formula per gli abbonamenti’. Ci facevamo una domanda semplice: è divertente? Sarà bello giocarci? Se avessi detto sì a queste domande, in genere avresti ricevuto un’approvazione. Non ci si preoccupava troppo del prodotto finale, nel bene o nel male. Ovviamente al tempo non c’era bisogno di spendere milioni di dollari. Perciò la soglia di tolleranza era più alta”.
E ancora: “Oggi il costo d’ingresso per fare un videogioco AAA è misurabile in centinaia di milioni di dollari. Penso che in modo naturale la tolleranza per il rischio crolli. E se si guarda ai sequel, si trovano soprattutto delle imitazioni, perché i tizi della finanza che dettano la linea dicono ‘Be’, se Fortnite ha fatto questi soldi in questo periodo di tempo, allora la mia imitazione di Fortnite può fare questo e in questo periodo di tempo’. Oggi stiamo assistendo al collasso della creatività nei videogiochi con il consolidamento degli studi e l’aumento del costo di produzione”.
Molte cose sono giuste. Eppure, intravedo fra le parole di Layden quella nostalgia dei tempi andati che menzionavo prima; che però finisce per nascondere che molti di questi problemi c’erano già.
Da questa prospettiva sembra che, invece, il passato fosse solo meritocratico (secondo il giudizio di chi, poi: ognuno ha il suo metro per stabilire quale gioco “merita” e quale no). Eppure, ancora oggi ricordiamo il tonfo di videogiochi come Shenmue, per dirne uno: tanto apprezzato quanto poco venduto.
Sembra che le aziende non spremessero fino allo sfinimento certe serie o certi personaggi.
Sembra, da questa prospettiva, che il profitto non fosse alla base delle decisioni delle società. Talvolta fino al punto di accelerare situazioni che hanno affossato progetti, intere aziende e generazioni.
Sembra che non abbiamo vissuto interi periodi in cui le tendenze del momento (gli sparatutto in terza persona oppure i videogiochi musicali) sono state seguite da molte aziende. Alcune di queste ci hanno guadagnato e altre che si sono fatte male.
Tutte queste cose esistono oggi come esistevano anni fa. Però si guarda al passato come a un modo romantico di fare videogiochi e a un’industria in cui era solo importante che i videogiochi fossero “divertenti” e belli prima di tutto. Il rischio è di pensare che tutti questi problemi siano di oggi e non siano trascinati da decenni.
Massimiliano
In inglese vengono chiamate “mock reviews”. Finte recensioni. Eppure, di “finto” non hanno proprio niente, perché sono importanti per le aziende per avere un’anticipazione credibile di come verrà recepito il proprio videogioco. Con ricadute anche sui messaggi di marketing in fase promozionale.
Le recensioni sono cosa nota. Una persona gioca per molte ore un certo titolo, dopo di che scrive un articolo o registra un video in cui esprime il suo giudizio, positivo o negativo che sia. In molti casi, viene assegnato anche un voto che sintetizza in estremo quel giudizio. Ecco: le finte recensioni sono quasi la stessa cosa. La differenza consiste nel fatto che vengono realizzate esclusivamente per le aziende e per uso interno. Ma mantengono quella struttura e anche il voto finale.
Dopo anni che si lavora a uno stesso progetto giudicarlo in maniera imparziale è difficile. Forse persino impossibile. In altre parole, l’azienda rischia di essere stata troppo vicina al progetto per così tanto tempo da non riuscire più a giudicarlo in modo obiettivo.
Così, più o meno quando il videogioco è molto vicino alla pubblicazione, le aziende – soprattutto quelle più grandi ma sempre di più anche quelle di medie dimensioni o indipendenti – contattano un’agenzia specializzata, composta da giornalisti e analisti di mercato, o una singola persona perché possa di fatto recensire quel dato gioco.