Si dimentica tutto

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

L’uscita di Diablo IV mi ha riportato alla mente due cose, entrambe legate al lancio sul mercato, nel 2012, di Diablo III. Ed entrambe queste cose furono problemi che, al solito, sul momento sembravano semi-tragici, almeno nella bolla dei videogiocatori, e che invece oggi ci siamo perlopiù dimenticati.

La prima è la modalità “sempre connessi” che Diablo III adottò, anche per chi giocava da solo, e che venne accolta malamente; la seconda è la casa d’aste – una sorta di negozio di NFT prima che ce li inventassimo gli NFT – che venne poi chiusa tempo dopo e che permetteva di acquistare equipaggiamento di alto livello, di fatto rompendo il gioco.

Ce n’è un’altra. Andiamo un po’ avanti e passiamo al 2018, quando sul palco della Blizzcon Blizzard parla di Diablo Immortal: gioco mobile con le microtransazioni. Quasi blafemia per chi ha seguito il marchio da sempre, da prima che si espandesse alle console e quando era ancora uno degli emblemi più scintillanti del mondo PC. Ovviamente, fu bufera: peste e corna su Blizzard.

Nei giorni scorsi è uscito Diablo IV e mi chiedo – magari ingenuamente: anzi, quasi sicuramente ingenuamente – se qualunque di queste tre cose abbia minimamente avuto effetto sul lancio di Diablo IV.

(N.B. Comunque Diablo III ha venduto 30 milioni di copie e il suo ciclo vitale ha vissuto – anche qui: al solito – un arco di redenzione).

Detto in altre parole: esiste davvero qualcosa che una società può fare e che abbia degli effetti tangibili nel tempo?

Non che io voglia in alcun modo insinuare che quando una società sbaglia allora debba essere marchiata per l’eternità; ma questo ciclo della polemica, fine a se stesso, equivale a un vicolo cieco che porta a sbattere sempre contro lo stesso muro dell’amnesia.

Un esempio molto concreto – e che coinvolge, di nuovo, Diablo IV – è un’armatura per cavalli venduta nel gioco all’equivalente di 8 dollari. Cioè molto di più di quei 2,50 dollari chiesti, nel 2006, da Bethesda per un oggetto molto simile in The Elder Scrolls: Oblivion: oggetto che generò molte discussioni su quanto fosse stata sfrontata Bethesda.

Il resto è storia, come si dice: oggi le microtransazioni non sono solo frequenti, ma pure alla base di un intero modello di business, cioè quello dei videogiochi free to play, che dal 2006 a oggi si è preso una grandissima parte dell’intero giro di affari dell’industria ed è stato applicato a tanti videogiochi, grandi o piccoli.

Il modello “sempre connesso” di Diablo III? Oggi vale per tantissime produzioni.

Il lancio disgraziato di Cyberpunk 2077? Solo negli ultimi mesi parecchi videogiochi sono arrivati in uno stato tecnico…rivedibile, diciamo. O proprio brutti brutti.

Le società rispondono in vario modo a queste situazioni.

Chi ha proposto così tanti miglioramenti ed espansioni gratuiti al suo gioco da essersi riscattata, come Hello Games per No Man’s Sky.

Chi, invece, semplicemente chiede scusa – forse anche consapevole che, alla fine dei conti, passeremo tutti a parlare di altro molto velocemente.

O chi direttamente non ci vede niente di male nel lanciare un gioco e inserire le microtransazioni poche settimane dopo.

Tutto questo circo mi fa venire in mente un valzer ballato con il teletrasporto: ci si sposta tanto velocemente a destra e a sinistra, in avanti e indietro, che poi non si riesce più a ricordare qual era il punto di partenza.

Così si va avanti. Dimenticandosi, di nuovo, tutto.