Dietro le quinte del doppiaggio dei videogiochi

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Doppiare i videogiochi è un gran casino. Non dovrebbe sorprendere più di tanto: perché creare videogiochi è già di per sé un gran casino.

Chi lavora nel doppiaggio nei film è certo di una cosa: il suo lavoro avviene alla fine della corsa. Cioè nel momento in cui il film è pronto, le scene sono concluse e a quel punto subentrano i doppiatori e le doppiatrici per prestare la loro voce per localizzare il film.

Nei videogiochi, invece, non solo il prodotto non è finito quando vengono chiamati doppiatori e doppiatrici; ma spesso il videogioco sottostante continua a cambiare, con l’impatto che ci si può aspettare su chi, poco prima, aveva registrato una sessione di doppiaggio: che a quel punto non serve più e va rifatta.

È questa una parte dell’incredibile condizione in cui versa il doppiaggio dei videogiochi.

Ho parlato con due doppiatrici, un responsabile di un’azienda di localizzazione e un giornalista per comprendere meglio il dietro le quinte di un lavoro poco trattato quando parliamo della produzione dei videogiochi.

Il quadro che ne è emerso alla fine è persino più scoraggiante di quando ho cominciato.

Come si organizza il doppiaggio

Il doppiaggio è parte integrante del percorso di localizzazione di un videogioco. Significa che, esattamente come il resto della localizzazione, è un processo che prende forma mentre il videogioco è ancora in sviluppo.

Insert Coin

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9 months ago · 2 likes · Massimiliano Di Marco

“Un gioco, quando comincia la fase di localizzazione, non è mai finito”, spiega Nino Nastasi, amministratore delegato di Seamonkeys, studio di localizzazione che si è occupato, per esempio, di Mario + Rabbids: Sparks of Hope e Assassin’s Creed Valhalla. “Quando si comincia a tradurre è anche il momento in cui il gioco, nella lingua originale, dovrebbe essere chiuso. Invece per un prodotto medio-grosso la fase della localizzazione copre gli ultimi mesi”.

Nonostante tale finestra temporale lascerebbe pensare che il videogioco si trovi in una fase perlomeno stabile, non è proprio così; e anzi, sono frequenti i casi in cui la società che lo sta sviluppando si fa risentire perché è cambiata una scena oppure perché una missione, che prima era prevista, è stata cancellata: e perciò una parte della registrazione va sistemata o, peggio, rifatta da capo.

Tutto questo, in più, con del materiale che già in partenza era molto basilare se non insufficiente: video dove gli attori vestono le classiche tute da motion capture oppure dei semplici filmati di riferimento per capire dove sta puntando la telecamera. A volte, neanche dei video, ma solo degli artwork, delle bozze visive, che delineano i tratti di un personaggio.

(In questo senso, i videogiochi hanno molto in comune con le serie TV, il cui doppiaggio impone tempistiche strettissime e talvolta molto complicate da rispettare per chi lavora.)

Ciò nonostante il doppiaggio – tornando ai videogiochi – possa arrivare, in certe produzioni, a rappresentare il 60% dell’intero budget destinato alla localizzazione, ha spiegato Nastasi.

“Noi cominciamo il nostro lavoro alla fine dello sviluppo, ma a quel punto è ancora ‘in progress’ e quasi sempre dobbiamo lavorare in batch – non abbiamo mai il gioco completo di fronte o uno script definitivo – e spesso non abbiamo nemmeno i video”, prosegue Nastasi. “E non dico i video finali, ma nessun video proprio, perché magari non sono finiti. Ci danno dei video di riferimento, con dei camera lock per vedere com’è la scena e da che punto di vista si vede; quindi noi dobbiamo riuscire a raggiungere il giusto compromesso fra tutti i materiali che arrivano, che in teoria dovrebbero essere definitivi. Quello che invece succede è che dopo le prime batch qualcosa cambia, viene cambiata la voce di un attore o cambiano le frasi”.

Una situazione in continuo mutamento dove la certezza è una sola: in qualche modo, quel doppiaggio dev’essere fatto.

“Sembra sempre di camminare sulle uova quando si fanno queste cose, finché non ti abitui e capisci che è obiettivamente la normalità per molti publisher e developer continuare a lavorare sul loro prodotto anche quando è nell’ultima fase, quella di localizzazione, e in teoria dovrebbe essere finito”, confessa Nastasi.

Il punto è che ciò può portare a delle situazioni veramente al limite in cui le condizioni di lavoro, già anormali rispetto ad altri settori esponenti del doppiaggio, vengono estremizzate. Come dover rifare più e più volte certe parti del doppiaggio.

“Ricordo una volta in cui abbiamo registrato il gioco tre volte”, ammette Nastasi. In quel caso, lo studio di sviluppo – che Nastasi non ha voluto menzionare – ha più volte contattato l’azienda che stava localizzando il gioco perché erano cambiate delle scene o era stato tolto un certo capitolo. Anche a distanza di mesi dalle registrazioni già fatte e già pronte.

“Se questo gioco, questo scherzo, lo fai troppe volte, finisce che tu magari dovresti registrare, che ne so, 50.000 parole e ne registri 150.000 perché registri le versioni diverse, quelle sbagliate, quelle provvisorie o gli attori vengono cambiati, le storie vengono cambiate”, sottolinea Nastasi.

Un caso limite, certamente. Ma che dà l’idea della linea sottile su cui i doppiatori e le doppiatrici e le aziende coinvolte nella localizzazione devono camminare: e quella linea sottile a volte si spezza.

E qui subentra un’altra questione. Visto che i doppiatori e le doppiatrici vengono pagati all’ora, nel caso in cui una scena dev’essere registrata di nuovo e di nuovo e di nuovo…il budget sale. A quel punto, di chi è la colpa? Dipende dal responsabile dell’errore.

Per esempio, se l’azienda che si sta occupando della localizzazione prende una decisione su una parola e su come tradurla e poi quella scelta si rivela sbagliata – perché non permette di aderire al labiale originale, per esempio, o di restare nei tempi delle battute – allora è l’azienda di localizzazione che deve assorbire l’impatto economico di tale errore.

Diverso il discorso in cui, invece, è lo sviluppatore o l’editore del videogioco a creare condizioni in cui il lavoro dev’essere ripetuto, anche sforando il budget previsto.

“Spesso, anzi quasi sempre, succede che le cose che registriamo siano effettivamente provvisorie”, spiega Nastasi. “Anche gli sviluppatori indie non sono così sprovveduti da pensare che il tempo della gente sia gratis: un conto è un rifacimento e un conto è ‘abbiamo cambiato le scene e dobbiamo rifare la sessione’. Così di fronte a una cosa del genere chiedono un nuovo preventivo, di integrazione a quello precedente, per avere un’idea dei costi per le sessioni in più”.

Il bilanciamento fra le richieste di chi deve gestire il doppiaggio e quelle dello sviluppatore è fondamentale. I primi chiedono di comprendere le peculiarità di una lingua: in italiano, per esempio, non esiste un pronome neutro. I secondi vogliono concentrare la loro attività sullo sviluppo e non vogliono pensare a come si traduce una cosa in una lingua che nemmeno sanno parlare.

È qui che entra in gioco il responsabile della localizzazione del cliente, per esempio dell’editore, e che funge da tramite. Una figura che Nastasi ritiene fondamentale per far lavorare bene tutte le persone coinvolte.

“Le figure di riferimento, cioè i responsabili della localizzazione dal lato del publisher, sono quelle che filtrano”, racconta Nastasi. “Per esempio, quando gli sviluppatori dicono ‘abbiamo cambiato ancora questa scena, puoi farla riregistrare?’, sono loro, i responsabili del progetto lato cliente, che parlano con gli sviluppatori e stabiliscono dei paletti sulla stabilità dei materiali che loro inviano alla fase finale della localizzazione. Altrimenti i costi vanno fuori controllo abbastanza facilmente – anzi quasi sempre – se non controlli tu il livello di stabilità dei tuoi materiali”.

Anche quando non si arriva a situazioni così estreme, però, le connotazioni del doppiaggio dei videogiochi fanno sì che i turni stessi possano essere complicati. E sembra che, almeno per com’è strutturata oggi la produzione dei videogiochi, un rimedio non ci sia.

La maledetta onda sonora

Se i video non sono finali o magari non ci sono proprio, come fanno i doppiatori e le doppiatrici a lavorare? Si trovano di fronte a loro la cosiddetta onda sonora, che rappresenta il parlato dell’attore o dell’attrice originale. Il loro scopo è di aderire a quell’onda sonora, rispettando le lunghezze delle battute e persino le pause.

Il che ci porta a due inevitabili problemi. Il primo: ogni lingua ha le sue espressioni e spesso è complicato rispettare le lunghezze. Il secondo: è difficile immedesimarsi in una scena che non puoi vedere.

“Invece di seguire le espressioni e i movimenti della bocca dobbiamo stare attenti alle lunghezze delle battute”, riferisce Benedetta Ponticelli, la voce italiana di Lara Croft in Tomb Raider (2013), Rise of the Tomb Raider (2015) e Shadow of the Tomb Raider (2018) e anche quella di Tatiana Maslany (Jennifer Walters/She-Hulk) nella serie TV She-Hulk e quella di Miles “Tails” Prower nei due film di Sonic. “Questo da una parte rende il doppiaggio dei videogiochi più facile, dall’altra dà meno appigli a cui aggrapparsi e lo rende più impegnativo”.

Simile è la posizione di Martina Felli, che ha doppiato la protagonista Aloy in Horizon: Zero Dawn (2017) e Horizon: Forbidden West (2022) oltre che Zelda in The Legend of Zelda: Breath of the Wild; ma ha doppiato anche Katherine Langford (Hannah Baker) in Tredici. Inoltre, di recente è stata premiata alla Musa D’Oro 2023 come migliore doppiatore/doppiatrice nei videogiochi.

“Mi ricordo che durante la lavorazione di Horizon: Zero Dawn avevo la possibilità di usufruire ogni tanto di qualche video, ma erano delle grafiche abbozzate oppure erano i video degli attori con addosso la motion capture”, ricorda. “Mi permetteva di avere la percezione della situazione e di come il personaggio si stava muovendo e quindi di come dover mettere la voce. Per esempio, nel seguito, Forbidden West, non ho avuto alcun video su cui poter lavorare: erano cambiate le modalità di lavorazione. Avevo solo l’onda sonora con Pro Tools…”

Una situazione, per certi versi, degradante: presti la tua voce per una figura che, magari, non sai nemmeno come si muova. O se in quella scena è triste o è arrabbiata o è delusa.

“Quando ho avuto modo di vedere il gameplay di Horizon Zero Dawn e ho visto qual era la vera forma di Aloy ho capito molte cose di lei” specifica Felli. “Di molte cose mi sono resa conto solo guardando i gameplay su YouTube a gioco uscito. Lì ho avuto modo di rendermi conto di come fosse una determinata situazione che io avevo immaginato diversamente”.

“Il doppiaggio dei videogiochi è molto faticoso perché è alienante: non vedendo niente bisogna restare molto concentrati e ci si stanca prima”, racconta Ponticelli. “Non ho mai calcolato quante battute si incidano in un turno, ma secondo me sono almeno il doppio di un turno di doppiaggio normale. Metti anche che magari ci sono fiati e versi come succede spesso nei turni di Tomb Raider, e allora dopo un po’ si va in iperventilazione e il cervello va in pappa”.

Come funzionano i turni di doppiaggio

I doppiaggi sono divisi in turni. Ogni giornata ne può includere tre; nei casi eccezionali quattro, magari in pausa pranzo, e ognuno dura circa tre ore.

“Non sempre sei impegnato per tutte e tre le ore. Se hai un personaggio che in quel turno ha 50 battute, ti impegna un’oretta e poi sei libero”, spiega Felli. “Poi ci sono quelle che chiamiamo le colonne separate – capita per i personaggi importanti – e in quel caso sei solo dall’inizio alla fine”.

Ogni videogioco ha bisogno di molti turni di doppiaggio, che possono coprire settimane o anche mesi. Nel caso di Horizon sono serviti sessanta turni solo per il personaggio di Aloy, che hanno coperto circa sei mesi, anche se “non sono tanti”, sottolinea Felli.

Ponticelli ricorda invece che della trilogia di Tomb Raider in cui è stata coinvolta è stato l’ultimo pubblicato, cioè Shadow of the Tomb Raider, il più lungo.

Nel caso del Tomb Raider del 2013, “forse l’abbiamo doppiato nel giro di un paio di mesi”, ricorda. Per Rise of the Tomb Raider sono stati accorpati vari turni in modo da avere intere giornate di lavorazione affinché fossero più gestibili logisticamente. “In quel caso forse ci abbiamo messo tre settimane, ma con due o tre giorni interni ogni settimana”.

Per Shadow of the Tomb Raider, invece, pur non ricordando esattamente la quantità dei turni che è stata necessaria, “so per certo che ci abbiamo messo un anno perché quando sembrava finito poi arrivavano aggiunte, correzioni, modifiche”. Eppure, Ponticelli sottolinea che “è stato divertente farsi accompagnare per un anno da Lara”.

Ci sono vari elementi che possono complicare un turno di doppiaggio. Uno di questi riguarda i momenti in cui le scene richiedono uno sforzo importante della voce: e che andando avanti per ore sono più difficili da sostenere.

“Le giornate più provanti che ricordo sono state quelle con i turni urlati”, ricorda Felli parlando del doppiaggio nei due videogiochi di Horizon. “Se non hai una buona tecnica, se non sai appoggiarti al diaframma, ti spacchi la gola. In quei turni se capita la scena in cui il personaggio ha una crisi isterica o urla, ti devi lasciare andare, ma con il senso della misura. A me capita di lasciarmi andare nelle scene emotivamente forti e mi è stato detto ‘bella, ma rifacciamola perché eri poco comprensibile o eri fuori sync’. I turni di videogioco sono molto stancanti, soprattutto quando ti ritrovi a farli per 2-3 turni di fila. Mi è successo con Horizon, sempre per via delle consegne. E lavorare, pur con le pause, per 9 ore è logorante”.

Una lavorazione complicata e che cambierebbe molto con una svolta, forse irrealizzabile: lavorare con il prodotto finito.

“Ti svolterebbe la lavorazione”, dice Felli. “Avere anche solo il video finito, sapere come il personaggio si muove, come si comporta, permetterebbe di vivere la lavorazione più serenamente e di non metterti le mani fra i capelli quando guardi il gameplay e realizzi di aver sbagliato l’emozione. Magari il personaggio era in azione e l’ho fatta intimista quando dovevo dare l’impressione dello sforzo e della fatica”.

Condivide questo pensiero Ponticelli: “Il mio sogno sarebbe doppiare un videogioco giocandolo. Vedere i movimenti che il personaggio può fare, vedere tutte le possibilità di azione, di risposte, di interazione col giocatore. Credo che non sia proprio possibile, ma se potessi vedere un gioco prima di farlo, mi aiuterebbe molto.” 

All’atto pratico ciò può significare anche colpevolizzarsi, da un certo punto di vista: perché la voce è la tua e alla fine la storia penserà alla tua prestazione. “Mi sento in colpa perché sono molto esigente con me stessa”, confessa Felli. “Non mi riascolto quasi mai. E poi [la vivo] con fastidio perché penso ‘ho perso un’occasione’. Anche se mi sono imposta di non focalizzarmi sui commenti, a volte mi condizionano certi commenti. Una performance non all’altezza delle aspettative può generare commenti negativi e questa cosa mi infastidisce. Certi utenti… non tutti si rendono conto delle modalità con cui dobbiamo lavorare e spesso si accaniscono. Il mio fastidio arriva da questo.”.

Turni talvolta logoranti, condizioni di lavoro instabili. Almeno si viene pagati bene? Anche qui: dipende.

Intanto, un chiarimento: “Il videogioco non rientra in nessun contratto”, spiega Felli, mentre il doppiaggio tradizionale è normato da un contratto nazionale, che prevede delle tariffe e anche il costo di ogni battuta. Per esempio, una riga di doppiaggio di un film costa di più rispetto a quella di una serie TV o di una serie animata.

Perciò, come ci si organizza? Ci sono comunque delle prassi. Vale a dire che il videogioco viene pagato a ore, con una politica che può apparire curiosa.

“Viene corrisposto un ammontare per la prima ora”, è l’esperienza di Felli. “Se ti ritrovi a fare un turno di tre ore, questo importo lo ricevi per la prima ora; e puoi uno più basso per la seconda e la terza ora.”

Felli sostiene di essere sempre stata pagata in questo modo e anche che la tariffa di partenza “non è uguale per tutti”, perché tanto l’esperienza della persona quanto il livello della produzione sono fattori che influenzano la tariffa oraria.

Un settore più in evidenza

Nel corso degli anni l’evoluzione del doppiaggio nei videogiochi è stata parallela a quella dell’industria dei videogiochi più in generale. Più le produzioni, soprattutto quelle ad alto budget, si sono avvicinate – sia come livelli produttivi sia, spesso, come contenuti – al cinema e più il doppiaggio è stato migliorato, almeno nei risultati e nell’impegno.

“Nel corso degli anni [il doppiaggio nei videogiochi] ha preso più piede e oggi il medium è alla pari, se non superiore sotto certi aspetti, al cinema e altro”, commenta Antonello Santopaolo, che su Videogiochitalia ha intervistato molte persone attive nel settore. “Anche il mondo dei doppiatori è consapevole di questo e sono molto entusiasti di doppiare”.

In questo senso, tanto si deve a un cambio generazionale: oggi molte persone che prestano la loro voce ai videogiochi sono entusiaste di farlo perché con i videogiochi ci sono cresciute. Per questo, secondo Santopaolo, “oggi è considerato alla pari del doppiaggio di un film o di un cartone. Ormai doppiare un videogioco tripla A è importante, dà lustro al doppiatore o alla doppiatrice”.

Questa situazione va di pari passo con una revisione della figura del doppiatore o della doppiatrice a 360 gradi, cioè anche al di fuori del mondo dei videogiochi.

“Fino a qualche anno fa il doppiatore veniva considerato, purtroppo, un attore che non ce l’ha fatta”, ammette Santopaolo. “Da qualche anno a questa parte, lo vedi: è diventato un mestiere sempre più cool, più ambito, da parte dell’utenza più giovane. Una volta non erano tantissimi i doppiatori. Oggi saranno in migliaia e fanno anche molta fatica a trovare lavoro”.

A plasmare questa trasformazione sono serviti i social network: alla voce è stata aggiunto un volto e quindi un lato umano che, forse, prima si perdeva. Perciò, anche la persona è stata valorizzata, oltre la sua voce.

“L’approccio agli eventi è totalmente cambiato”, dice Santopaolo. “Ora sono delle vere e proprie star. Vengono invitati, vengono considerati: viene fatto un lavoro di dietro le quinte, viene fatto conoscere il mestiere, che è complesso, difficile. Da questo punto di vista hanno lavorato benissimo Voci Animate, con eventi in tutta Italia”.

Eppure, c’è ancora, in una certa sfera del settore, l’idea che doppiare i videogiochi sia un’alternativa meno valida a lavorare con opere ben più ammirevoli, come i film e le serie TV.

“Viene considerato il fratello scemo solo da chi non ha la minima esperienza in questo campo”, spiega Martina Felli. “Mi riferisco ai miei colleghi doppiatori a cui mi capita di parlare di doppiaggio e con cui ho parlato della mia partecipazione al Nerd Show, dove sono stata premiata per il doppiaggio in Horizon Forbidden West. A chi non ha mai doppiato un videogioco viene spontaneo associare il videogioco a qualcosa di piccolo, di poco conto. Non dico che viene trattato con scherno, ma viene minimizzato”.

Ma qualcosa sta cambiando, secondo Benedetta Ponticelli: “Negli ultimi anni credo che l’opinione generale verso i videogiochi sia migliorata perché sono diventati sempre più belli anche esteticamente. Ormai sembrano dei film e di conseguenza non si possono trattare come prodotti ‘di serie B’”.

Concludo questo approfondimento con una frase che mi ha detto Ponticelli: è un po’ una battuta e un po’ una constatazione amara. Però mi sembra che rappresenti bene tutta la sostanza del doppiaggio dei videogiochi.

Dopo mesi di lavoro, un videogioco a cui ha prestato la voce è finito e arriva sul mercato. Lo vede, magari lo gioca brevemente. Cosa pensa? “Va bene, adesso che l’abbiamo fatto ho capito meglio delle cose: possiamo rifare tutto da capo?”