E3 o non E3?

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Il cosiddetto “non E3” è alle spalle. Il fatto stesso che sia stato definito in questo modo dice molto delle difficoltà dell’industria a raccontare il cambiamento che sta vivendo: “è come l’E3, ma non è l’E3”. Ci sono state molte conferenze, anche una di seguito all’altra; alcune sono state raccolte sotto l’ombrello del Summer Game Fest guidato da Geoff Keighley, come lo State of Play, l’Xbox & Bethesda Showcase e la presentazione di Devolver Digital; altre no.

Si è cercato di dare una forma coerente a qualcosa che non poteva esserlo perché non era stato organizzato da un’unica azienda.

Cosa ci portiamo via?

Intanto, l’Entertainment Software Association (ESA) ha scoperto che si può fare a meno di lei: gli annunci ci sono stati e sono stati molti; le aziende che non potevano organizzare abbastanza annunci (come Electronic Arts) non ci sarebbero comunque state; e attraverso lo streaming le aziende hanno potuto organizzare il come, il dove e il quando.

Il punto non è se serve o no l’E3: si è visto che dell’E3 – per la “non gioia” dell’ESA – si può fare a meno. La questione è: come tornare a organizzare un unico grande evento fisico a giugno. Sempre che questa cosa si possa fare.

Gli anni passano e oggi l’industria ha ritmi diversi: si sta ancora riprendendo dalle dinamiche imposte dalla pandemia – fra lavoro da remoto e rinvii – e l’idea di un appuntamento forzato a metà anno non rientra più nei calendari delle varie aziende, che infatti scelgono sempre più di frequente occasioni singole (uno State of Play, una presentazione per l’anniversario dell’uscita di un gioco o una conferenza in streaming per un trailer). Con buona pace di chi sente il bisogno di un momento spesso identificato come un “Natale estivo” per i videogiochi.

L’altra faccia della medaglia è che l’assenza di un evento fisico è una ulteriore occasione per le aziende di monopolizzare il discorso: non si possono provare molti dei giochi, non si possono fare domande a chi sviluppa i videogiochi (magari incrociandoli nel padiglione espositivo). Non c’è modo di interagire in alcun modo con quegli annunci.

Gli eventi fisici servono anche a filtrare gli annunci o quanto meno poter verificare – nei limiti del possibile: sono pur sempre demo di giochi in sviluppo – l’attendibilità di quanto detto; di poter porre, fra l’azienda e le persone che seguono l’industria, una figura intermedia (giornalista, influencer: scegli tu), fra il comunicato stampa e il contenuto finale.

Una sola cosa è certa: indietro non si torna. Bisogna solo capire dove stiamo andando.

Massimiliano


Cosa sta succedendo ai videogiochi

Il calendario 2022 è meno fitto di uscite importanti. Molti dei giochi che sono stati mostrati al “non E3” riportava la scritta “2023”. Dall’inizio dell’anno sono stati rinviati Redfall, Starfield, Suicide Squad: Kill the Justice League e il sequel di The Legend of Zelda: Breath of the Wild.

Non è un caso: qualcosa è cambiato. Non sta cambiando: è già cambiato.

La pandemia, l’evoluzione delle tecnologie e il caso Cyberpunk 2077 – un lancio disastroso dal punto di vista tecnico – hanno avuto un effetto esteso su come le aziende organizzano il proprio lavoro e come percepiscono l’idea di rinviare i progetti.

In altre parole, anche gli editori sono più propensi a rinviare un gioco piuttosto che rischiare una magra figura.

Parlando con GamesIndustry, alcune aziende hanno descritto i motivi che hanno rallentato lo sviluppo.

Un motivo che è emerso è la difficoltà, nelle prime fasi di sviluppo, di coordinare le attività che devono essere eseguite quando buona parte delle persone, se non tutte, lavorano da remoto; di trovare le idee – è stata spesso citata la parola “serendipità”, cioè di quelle scoperte positive fatte per caso – che spingano il progetto in una precisa direzione.

Mentre in seguito, a produzione avviata, ognuno ha le sue attività da eseguire e le porta avanti, all’inizio è più difficile: serve una scintilla creativa che spesso, davanti a una videoriunione, non si riesce a trovare, magari anche perché le nuove persone assunte non si sono ancora integrate e non hanno avuto l’opportunità di farlo.