A Epic Games Fortnite non basta

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Fall Guys è stato uno dei fenomeni videoludici del 2020. Può essere considerato una versione interattiva e colorata di “mai dire Banzai”: un gruppo di utenti si sfidano lungo un percorso, rischiando di cadere frequentemente, scontrandosi a destra e a manca; vince chi arriva per primo al traguardo. L’irriverenza delle situazioni che si creano e l’intuitività del gioco lo hanno reso un contenuto molto in voga, soprattutto per le trasmissioni su Twitch e YouTube.

Inoltre, è stato proposto come contenuto incluso nell’abbonamento PlayStation Plus (ad agosto, Sony ha specificato che è stato il gioco offerto con PS Plus più scaricato di sempre): nel giro di pochi giorni la sua popolarità è aumentata tantissimo. Ora, Epic Games, lo studio dietro a Fortnite e all’Unreal Engine, ha annunciato di aver acquisito Tonic Games Group, la casa madre dello sviluppatore di Fall Guys, Mediatonic. Non dovrebbe sorprendere e ti spiego perché.

Innanzitutto, Fall Guys è un gioco che sposa molto bene l’attuale posizione dei videogiochi prodotti da Epic Games e le sue case di sviluppo: tanto Fortnite quanto Rocket League (Epic ha acquisito lo sviluppatore, Psyonix, a maggio 2019) sono giochi online fruibili gratuitamente e con una solida comunità online; tendono facilmente agli esport, un altro rilevante fenomeno videoludico di marketing; e possono essere continuamente estesi attraverso nuovi contenuti. Fall Guys integra tutte queste caratteristiche.

La caratteristica che più integra riguarda la facilità di includere contenuti brandizzati nel gioco: costumi e altri accessori estetici sponsorizzati da grandi aziende.

Per esempio, lo scorso agosto gli autori di Fall Guys invitarono le aziende a presentare delle idee per creare contenuti brandizzati. Hanno partecipato società come Walmart e KFC, per intenderci. Allora l’iniziativa era a scopo benefico: quanto pagato è stato dato in beneficenza, sebbene la visibilità concessa dall’iniziativa sia rimasta. (Alla fine ha vinto un gruppo di streamer, che ha donato complessivamente un milione di dollari a SpecialEffect).

Poco più che semi; ma che su un terreno fertile come la capacità commerciale di Epic Games possono germogliare e dare frutti importanti.

Fortnite, in tal senso, è un riferimento: come ho scritto nella prima puntata della newsletter, l’inclusione di contenuti brandizzati è un flusso di ricavi regolare ed espone gli utenti (di età più eterogenea di quanto sembri) a tante licenze.

La capacità di Epic è stata renderla un elemento caratterizzante l’esperienza giocata di Fortnite anziché essere estraneo e quindi controproducente. Difficile stabilire, in assenza di numeri precisi, quanta parte dei ricavi generati da Fortnite sia derivata dagli accordi commerciali con le aziende; di certo, sono parte integrante dell’esperienza e quindi del motivo per cui tanti giocatori tornano a giocare e potenzialmente a spendere.