La maschera di Epic Games

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Fingersi cari e buoni è un’abitudine molto frequente nei videogiochi. Non riesco a decifrare con precisione il momento in cui i dirigenti delle multinazionali quotate in borsa o delle società private che valgono dozzine di miliardi di dollari hanno compreso che questo atteggiamento, questa possibilità di interagire direttamente con il pubblico, fosse più efficace.

L’idea è che mostrandosi dalla parte dei consumatori e dei lavoratori, poi si ottenga qualcosa in cambio; o quanto meno si stia in una fantomatica parte dei “buoni”.

Ok, finisco con il girare attorno alla cosa: Tim Sweeney. Amministratore delegato di Epic Games. Una società enorme: produce Fortnite, uno dei videogiochi più ricchi al mondo; produce l’Unreal Engine, motore grafico usato da tantissimi videogiochi; Epic Games è una società che dopo aver ricevuto due miliardi di dollari ad aprile 2022 – fra cui anche da Sony e Kirkbi, che gestisce LEGO – è stata valutata oltre 31 miliardi di dollari. Con Epic Games Store, Sweeney ed Epic Games hanno scelto di abbassare le commissioni per sfidare Steam, che è la piattaforma di distribuzione dominante su PC, e quindi condiziona tutto: il mercato, come lavorano gli sviluppatori, che tipo di giochi vengono pubblicati.

Con una mossa azzardata, poi, nel 2020 Epic Games ha fatto la guerra ad Apple e Google quando ha provato a scardinare quel famoso 30% che le due società trattengono su ogni acquisto effettuato nelle applicazioni pubblicate sull’App Store di iOS e sul Play Store di Android; parlando di libertà e di come, con quella sua azione, voleva ergersi a Davide contro il Golia-Apple. E ogni volta che può Sweeney ribadisce quanto quel 30% sia distorsivo del mercato, danneggi la concorrenza e sia, peraltro, ingiusto – visto che il ruolo di Apple e Google si limita a mettere a disposizione la piattaforma. Di recente lo ha definito “disgustoso”, commentando un’infografica che mostrava quanto Apple e Google guadagnano dai videogiochi.

Poi però c’è un’altra realtà, meno trasparente e più nascosta: quella che vede Epic Games fare esattamente gli stessi discorsi di tutte le altre società; cioè parlare di margini di profitto, di ricavi, di crescita e di “stabilizzare il business”; dire che i licenziamenti, pur necessari, sono “una terribile esperienza per tutti”.

Così, nei giorni scorsi ha annunciato di aver licenziato 830 persone, cioè il 16% del personale, perché cresce più lentamente di prima; Fortnite cresce di nuovo e continua a generare miliardi, ma viene spinto da un’attività – la creazione di contenuti degli utenti – con margini più bassi della modalità battaglia reale, che anni fa ha trasformato Fortnite in un fenomeno di massa e ha permesso a Epic Games di fare tante cose in più.

Società come Epic Games si posizionano secondo una modalità “pseudoattivista”: insistendo sulla volontà di dare più spazio agli sviluppatori, di voler promuovere la loro creatività, di voler concedere più libertà agli utenti, di tentare di contrastare le società che sono – secondo loro – le vere antagoniste del settore e che lo vogliono controllare, come le varie Valve Software, Apple, Google, Microsoft. Per vie diverse rispetto ad altre società Epic Games vuole però raggiungere lo stesso scopo: generare fatturato, ottimizzare i margini, crescere ancora di più, convincere gli investitori. È solo più brava, forse, a mascherarlo.