Epic Games ha vinto o ha perso contro Apple?

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Quella che stai leggendo è una puntata di Insert Coin un po’ diversa dal solito: è stata pensata, progettata e scritta insieme con Claudio Magistrelli, giornalista che ha firmato e firma articoli per Rolling Stone, The Games Machine e Players. Lo puoi seguire su Twitter e su Instagram.

Ho deciso di co-condurre questa puntata perché sto coltivando questa newsletter come un terreno neutrale: uno spazio in cui il dibattito sia ragionato e costruttivo e in cui non esistono partigianerie. E l’idea di farla con qualcun altro condividendo questo spazio mi sembrava congeniale a tale obiettivo.

Ho sempre apprezzato il lavoro di Claudio, i cui pezzi ritengo siano onesti e diretti senza essere né grezzi né compiacenti. Lavorare insieme con lui è stato molto interessante; ed è stato ciò che mi serviva per rifiatare un attimo dalla conduzione solitaria che temo possa portarmi a essere autoindulgente e autoreferenziale. Per cui, aspettati di vedere più spesso puntate di questo tipo.

Abbiamo deciso di comune accordo di non firmare i vari approfondimenti che leggerai qua sotto: alcuni li ho scritti io, altri Claudio. Entrambi sono figli dello stesso approccio: far capire cosa succede nell’industria videoludica nel modo più semplice possibile e tentare di andare un po’ più sotto della superficie.

Spero che anche a te questa puntata piaccia quanto è piaciuto a noi scriverla.

Massimiliano

Epic Games contro Apple: la sentenza

È arrivata la sentenza della causa legale intentata da Epic Games, produttore di Fortnite, contro Apple: quest’ultima non rappresenta un monopolio nel settore dei videogiochi mobile, secondo la giudice Yvonne Gonzalez Rogers; ma entro il 9 dicembre dovrà permettere agli sviluppatori di qualsiasi applicazione sull’App Store, negozio digitale di iOS, di proporre metodi di pagamento alternativi al suo, da cui trattiene il 30%. Tali metodi, però, potranno essere pubblicizzati con link che portano verso l’esterno (sul sito ufficiale della società, per esempio) o via email: non saranno quindi interni all’applicazione.

Breve riassunto delle puntate precedenti. Ad agosto 2020 Epic Games ha introdotto di soppiatto un aggiornamento in Fortnite su iOS e Android che permetteva di eludere il sistema di pagamento di Apple e Google per aggirare il 30% che trattengono le due società su ogni transazione. Fortnite è stato rimosso per aver violato le condizioni del servizio: su iOS non è ancora tornato, mentre su Android può essere giocato scaricandolo dal sito ufficiale e installandolo, quindi, al di fuori del Play Store di Google. Epic Games ha fatto causa ad Apple e Google. Fine del breve riassunto.

La sentenza, di fatto, dà ragione perlopiù ad Apple: non è un monopolio nel settore che la giudice ha definito come il contesto della diatriba (i videogiochi mobile); la rimozione di Fornite dall’App Store di iOS è stata legittima e, anzi, Epic Games dovrà pagare almeno 3,6 milioni ad Apple come risarcimento per aver violato il contratto che aveva sottoscritto. La quota del 30%, secondo la giudice, è stata scelta molti anni fa, quando è nato l’App Store, e non è una conseguenza di una posizione dominante di Apple.

Il fatto che nonostante la concessione agli sviluppatori Apple senta di aver vinto è evidente dalle dichiarazioni che le due società hanno rilasciato dopo la sentenza. Apple ha sottolineato che “la Corte ha sostenuto ciò che già sapevamo: l’App Store non viola le leggi sull’antitrust” e che “il successo non è illegale” (lo ha detto la giudice e Apple lo ha ovviamente evidenziato). I legali di Apple hanno dichiarato di essere compiaciuti dalla sentenza.

Apple non dovrà rivedere il 30% che trattiene dalla maggior parte delle transazioni (fa un’eccezione per i piccolissimi sviluppatori riducendo la quota al 15%) e non sarà nemmeno obbligata a permettere di installare negozi di terze parti (come accade su Android): ne esce piuttosto pulita. Anzi, si potrebbe dire che Apple sia rinvigorita rispetto a prima perché ora può vantare una sentenza a suo favore in un dibattito (la concorrenza) che negli ultimi mesi è diventato molto contrario a Big Tech (quindi anche Amazon, Facebook, Google etc). Secondo la giudice, Epic Games non è riuscita a fornire abbastanza prove per convincerla che Apple sia un monopolio.

Più amare invece le parole di Tim Sweeney, fondatore di Epic Games: “La sentenza di oggi non è una vittoria né per gli sviluppatori né per gli utenti. Epic sta combattendo per una concorrenza giusta tra i metodi di pagamento nelle app e nei negozi di app per conto di un miliardo di utenti” ha scritto su Twitter. Sweeney ha aggiunto che Fortnite tornerà su iOS “quando e dove Epic potrà offrire i pagamenti in-app in un contesto di equa concorrenza con il sistema di pagamento di Apple”.

Perché Epic è contrariata? Perché è consapevole che eludere il 30% di Apple solo tramite un link che porta fuori dall’app è scomodo: gli utenti sono restii quando ci sono troppi passaggi da fare per pagare; quindi il rischio è che non lo usino e continuino a preferire il sistema di Apple, molto più veloce e integrato. Epic chiedeva di poter inserire direttamente nell’applicazione un altro metodo di pagamento che non prevedesse il pagamento del 30% ad Apple. Richiesta che, come detto, è stata respinta.

Secondo molti esperti ascoltati da Reuters, la causa contro Google, che non è ancora nemmeno cominciata, potrebbe essere più difficile di prima: la posizione di Epic ne esce indebolita; quella dei proprietari dei negozi digitali, invece, rafforzata. Diversamente da Apple, Google già permette di installare negozi di terze parti e persino di installare le app singolarmente tramite una procedura chiamata sideloading su Android. Se il 30% non è anticoncorrenziale, allora Epic e gli altri sviluppatori che armi hanno contro Google? Ciò potrebbe quindi spingere le aziende a sostenere un più radicale aggiornamento delle leggi antitrust anziché portare le grandi società in tribunale – mossa che evidentemente non funziona.

Gli annunci del PlayStation Showcase

Nei giorni scorsi si è tenuto un PlayStation Showcase, presentazione di circa quaranta minuti in cui Sony ha mostrato alcuni dei giochi principali in arrivo su PS4 e PS5 nel prossimo futuro. L’evento era atteso perché Sony non ha partecipato all’E3 dello scorso giugno e successivamente ha tenuto solo presentazioni minori.

Gli annunci:

  • il prossimo God of War si intitola ufficialmente God of War Ragnarok ed è stato trasmesso un nuovo trailer. Il direttore del gioco non sarà Cory Balrog, ma Eric Williams che, con un ruolo o un altro, ha sempre contribuito alla realizzazione dei vari capitoli della serie;
  • Insomniac Games sta lavorando a Spider-Man 2 (che uscirà nel 2023) e Wolverine, senza data. La società ha detto che sono in sviluppo solo per PS5;
  • Gran Turismo 7 debutterà su PS4 e PS5 il 4 marzo 2022;
  • su PS5 e PC uscirà il rifacimento di Star Wars Knights of the Old Republic. Lo sta realizzando Aspyr, già sviluppatore di altri giochi ispirati a Star Wars come Republic Commando e Jedi Knight: Jedi Academy;
  • Forspoken, gioco di ruolo di Luminous Production (Square-Enix), arriverà la prossima primavera;
  • Tchia, avventura ispirata alla Nuova Caledonia e sviluppata da Awaceb, sarà pubblicato nel 2022 su PC, PS4 e PS5;
  • nel 2022 uscirà su PC e PS5 Uncharted Legacy of Thieves Collection, che include Uncharted 4: La fine di un ladro e Uncharted: L’eredità perduta.

L’evento ha suscitato emozioni contrarie. Poiché i tre principali giochi che gli studi interni stanno realizzando (Horizon Forbidden West, Gran Turismo 7 e God of War: Ragnarok) per il 2022 arriveranno anche su PS4, la percezione (legittima) è che la presentazione di Sony non abbia fatto granché per spingere gli utenti verso PS5 (che comunque sta registrando ottimi numeri ed è la console PlayStation venduta più velocemente).

Al di là di condividere o meno la scelta di Sony di proporre molti suoi giochi anche su PS4 (un cambio di strategia comunicato molto male), a questo evento non ci si poteva aspettare niente più di ciò che poi si è visto. Bisogna però evidenziare una cosa: se lo scorso anno Sony non avesse buttato lì, come una facile esca per acquietare gli utenti nel breve termine, il teaser del nuovo God of War (appena un logo), avrebbe fatto una figura migliore mostrando direttamente il gioco al PlayStation Showcase dei giorni scorsi: sarebbe stato quell’annuncio che, seppur un po’ scontato, avrebbe permesso di rivalutare l’intera presentazione; la “bomba” di fine evento che coccola gli utenti appassionati da generazioni di console.

La stessa cosa, in compenso, è stata fatta con Wolverine: pochi secondi di video, nessuna data di uscita e niente dettagli sulle meccaniche di gioco. Ormai gli utenti sono stati abituati così e disabituarli è complesso e gli effetti, poi, si vedono a medio e lungo termine: quando nel 2022 o nel 2023 Sony tornerà a parlare di Wolverine, gli utenti diranno “lo conoscevamo già” rimanendo delusi perché si aspettavano un’altra sorpresa. Un ciclo infinito difficile da rompere.

È questione di bilanciare le aspettative. Sia da parte degli utenti sia da quella dei produttori, che sembrano ormai preferire la soddisfazione a breve termine in un gioco a rincorrersi che sta producendo solo problemi.

Baldo e la stampa italiana

Settimana scorsa, questa newsletter si è aperta con una riflessione sull’accoglienza di Baldo, videogioco sviluppato dallo studio italiano Naps Team, e sulla reazione dei giocatori all’assenza di recensioni al day one. Su questo argomento ha scritto un articolo Daniele Dolce, giornalista di The Games Machine, in cui ha ricostruito la sequenza degli eventi che ha portato buona parte della stampa italiana a ignorare l’uscita di Baldo.

Nella sua ricostruzione, Dolce conferma l’arrivo tardivo dei codici review alle redazioni, ma va anche oltre, fornendo dettagli sul funzionamento della sezione news delle redazioni, la cui creazione di notizie è spesso sollecitata dalla ricezione di comunicati stampa arricchiti da video o dichiarazioni. Ciò non si è verificato nel caso di Baldo e ha condannato il gioco italiano all’assenza da quasi tutte le home page dei principali siti di settore.