Anche questa settimana c’è stata una novità rispetto all’acquisizione di Activision Blizzard King da parte di Microsoft. Ne parlo meglio nella sezione delle notizie in breve, ma il punto è: l’antitrust britanica, la Competition and Markets Authority (o CMA), si è espressa provvisoriamente indicando che l’operazione ridurrebbe la concorrenza e danneggerebbe i consumatori.
Non sono qua per commentare questa notizia – che è una delle varie fasi dell’indagine: meglio riparlarne quando sarà effettivamente chiusa – bensì ciò che sta attorno a questa operazione sin da quando è stata annunciata a gennaio 2022.
Ciò che vedo, leggo e sento è il risultato di un atteggiamento e un approccio molto da tifoseria, che nulla ha a che vedere con i confini e le caratteristiche di un’operazione finanziaria di questo tipo. Leggasi: il punto non è l’affetto che le persone possono provare verso Call of Duty o l’astio verso Activision o l’avversione verso Microsoft (o viceversa la genuina passione verso Sony e PlayStation).
L’intera questione è commerciale e finanziaria: riguarda l’insieme di condizioni che potrebbero o non potrebbero andare a influenzare – e se sì, in che modo – il settore dei videogiochi. Ciò vale sia per quello attuale, ancora fortemente indirizzato dalle console, sia per quello del futuro, dove i servizi di cloud gaming potrebbero essere più presenti.
Questa prospettiva cambia completamente il piano del discorso. Perché è vero che l’affezione verso un marchio (come Call of Duty o Diablo) può portare una minoranza di persone effettivamente a cambiare console nel caso in cui quel marchio fosse spostato, ma nel caso specifico stiamo parlando di due colossi della tecnologia.
E quindi, semmai, la discussione dovrebbe avvenire su altri temi. Per esempio: crediamo davvero che Microsoft non sia più quella che, agli albori del web, ha sfruttato la sua posizione dominante per evitare la concorrenza a Internet Explorer? Oggi Microsoft è dietro a Sony per ricavi e vendite di console. Ma se in futuro avrà una posizione di vantaggio, che farà?
Il punto è proprio questo: rispondere è complesso perché nessuno – né noi che commentiamo né le autorità antitrust – ha la sfera di cristallo per vedere cosa sarà e quando.
Quando ci lasciamo prendere – o aizziamo – le sensazioni personali e le affezioni, perdiamo di vista il punto del discorso: se un fusione da 69 miliardi di dollari fra una società che vale 1.960 miliardi e una che ne vale 59 miliardi apporterebbe dei benefici o no al settore.
Se renderebbe più competitiva Microsoft o no.
Se ridurrebbe il margine di confronto con Sony e Nintendo o no.
Se impedirebbe a nuove società di competere nel segmento del cloud gaming o no.
Quando invece lasciamo che sia il tifo o l’interesse verso un marchio a indirizzare la nostra opinione, ci perdiamo di vista ciò che conta: cioè tutto il resto.
Massimiliano
Fra il 2021 e il 2022 si è fatto un gran parlare dei giochi con meccaniche legate ai Non Fungible Token, beni digitali la cui proprietà viene certificata da una blockchain.
Gli NFT hanno dato vita a un nuovo genere: i giochi “play to earn”, ossia gioca per guadagnare. All’apice di quel momento, giochi come Axie Infinity hanno raccolto milioni di persone, attirate dall’idea che oltre a giocare si potessero effettivamente guadagnare dei soldi, scambiando e rivendendo gli NFT accumulati.
Però, la forte riduzione dell’interesse e del valore delle criptovalute e degli NFT verso la fine del 2022 ha ridotto notevolmente anche lo spazio per questi giochi e gli investimenti verso queste iniziative.
Eppure, sebbene possa sembrare il contrario, considerato che sulla maggior parte delle testate se ne parla poco o nulla, non sono affatto spariti. E anzi, continuano a raccogliere milioni di dollari.
Giochi e NFT: continuano gli investimenti
Sebbene meno alla luce del sole, o perlomeno con minore copertura mediatica, tante aziende attive nel settore della blockchain e degli NFT applicati ai videogiochi hanno continuato a raccogliere capitali o a effettuare acquisizioni.
Alcuni esempi recenti:
- l’editore di giochi basati sulla blockchain Mythical Games ha acquisito Dmarket, cioè un marketplace specializzato in NFT per videogiocatori;
- Roboto Games ha raccolto 15 milioni di dollari per proseguire il lavoro sul suo prossimo gioco basato su NFT;
- Digital Entertainment Asset ha raccolto 10 milioni di dollari per espandere la sua piattaforma per i giochi con gli NFT, chiamata PlayMining;
- Fenix Games ha raccolto 150 milioni di dollari per proporsi come piattaforma ed editore di giochi basati sulla blockchain;
- la giapponese Thirdverse ha raccolto 15 milioni per sviluppare (anche) giochi per il cosiddetto Web3;
- lo scorso dicembre, Animoca Brands (la più grossa società del settore con un valore di quasi 6 miliardi di dollari) ha acquisito una quota di maggioranza nella “piattaforma musicale videoludica per il metaverso” Pixelynx.
Nel 2022, secondo un rapporto realizzato da Drake Star, ci sono state 405 operazioni finanziarie attorno ai giochi su blockchain: più di due volte quelle attorno ai giochi mobile (152). Sono stati raccolti oltre 4 miliardi di dollari.
Resta vero però il calo evidente. Se nel quarto trimestre del 2021 erano stati raccolti 4,2 miliardi di dollari con 130 operazioni registrate, un anno dopo (fra ottobre e dicembre 2022, quindi) sono stati raccolti 1,2 miliardi di dollari attraverso 210 operazioni.