Non starò a spiegare le tante ragioni che, una dopo l’altra, hanno contribuito alla decisione di Google di chiudere Stadia. Se ne è parlato per talmente tanto tempo, che ormai equivale a una profezia autoavverante.
Dico solo che la notizia è così poco sorprendente che in un articolo di aprile per DDAY chiudevo così: “Tre anni fa Stadia aveva promesso una rivoluzione. Tre anni dopo il servizio ha fortemente ridimensionato le sue ambizioni. Fra tre anni potrebbero non esserci più.”
Nonostante ciò, alcune considerazioni sono inevitabili quando una multinazionale del calibro di Google – parte del gruppo Alphabet, che vale 1.250 miliardi di dollari (hai letto bene: milleduecentocinquantamiliardi) – fallisce a entrare in un settore come quello dei videogiochi.
La prima evidenza che Google avesse gestito male le sue aspettative l’avevamo avuta a febbraio 2021, cioè quando Phil Harrison, vicepresidente e general manager di Stadia, annunciò la chiusura di Stadia Games & Entertainment, gli studi interni che, o almeno era l’intenzione, avrebbero dovuto sviluppare giochi in esclusiva per il servizio. Harrison sottolineò, per esempio, che “creare giochi di prima classe dalle fondamenta richiede molti anni e significativi investimenti e i costi stanno crescendo esponenzialmente”. Ci ha messo due anni per capirlo.
Ma Google non è la sola grande entità tecnologica che pur dominando in qualche settore – il motore di ricerca, soprattutto, e il sistema operativo mobile Android, nel caso di Google – ha faticato a comprendere le evidentemente complicate dinamiche del settore dei videogiochi:
- Amazon ha cancellato diverse produzioni (Nova, Intensity, Breakaway e Crucible le più evidenti) prima di pubblicare sul mercato un gioco di modesto successo: New World, pur lontano dal picco di oltre 913 mila persone connesse contemporaneamente;
- Apple ha scelto la strada dell’abbonamento, ma Arcade rimane là, un po’ in disparte e non è ben chiaro come stia andando né quante persone siano abbonate.
L’ultimo dato utile che abbiamo per capire a che punto si trova Apple Arcade è un comunicato risalente ad aprile del 2021 in cui veniva annunciato che il catalogo includeva più di 180 giochi.
L’impressione, anzi, è che Apple Arcade sia finito un po’ nel dimenticatoio (e peggio ancora Play Pass per dispositivi Android, che tanti nemmeno sanno che esiste) nonostante il gioco di Hironobu Sakaguchi, Fantasian; il gioco di Yu Suzuki (Air Twister); e l’arrivo di un Castlevania (Grimoire of Souls).
E se un gigante, Google, se ne è uscito, un altro entra: sto parlando di Netflix.
A che gioco sta giocando Netflix?
Nei giorni scorsi, Netflix ha annunciato l’apertura di uno studio interno basato a Helsinki, in Finlandia.
Il nuovo studio sarà guidato da Marko Lastikka, già vicepresidente di Zynga (dal 2017 al 2022) e general manager in Electronic Arts Helsinki (dal 2012 al 2016). Sarà il quarto studio per Netflix, considerati anche Next Games, Night School Studio e Boss Fight Entertainment, che ha comprato fra il 2021 e il 2022.
Poiché Netflix era focalizzata su serie TV, documentari e film, ha assunto dall’esterno delle figure che potessero gestire l’investimento nel mondo dei videogiochi:
- Amir Rahimi, oggi vicepresidente degli studi di videogiochi di Netflix, è stato presidente di Scopely, general manager di FoxNext (società che sviluppava giochi in 21st Century Fox), producer in Electronic Arts e general manager in Zynga;
- Sophia Yang, oggi Mobile Games Product Manager, ha lavorato da luglio 2017 a gennaio 2022 (quando si è unita a Netflix) in diversi ruoli in Sony Interactive Entertainment contribuendo alla gestione del Game Hub di PlayStation 5 e PlayStation Vue;
- Paul Cross, direttore creativo per Netflix Games, ha lavorato come direttore creativo senior su The Sims 4 dal 2020 a maggio 2022 (quando si è unito a Netflix) e prima ancora per 12 anni in Ubisoft, Electronic Arts e Criterion a vario titolo su giochi come Burnout Paradise, Skate, Rocksmith e South Park: Sconti Di-Retti
- Rodriguo Aguillar, executive producer di Netflix Games, ha lavorato dal 2019 a novembre 2021 in Humble Bundle e prima in Kixeye, Prisma Wave Studios, Zynga ed Electronic Arts
- Leanne Loombe, head of external games, ha lavorato per Riot Games dov’è stata responsabile per la visione dell’etichetta Riot Forge. Inoltre, è stata senior producer in Electronic Arts su Need for Speed;
- Yoko Nakao, head of operations, ha lavorato come direttrice operativa in FoxNext, in Kabam (prima come vicepresidente delle live operation e poi come direttrice operativa) e prima ancora come direttrice marketing in Namco Bandai e in Electronic Arts.
Nelle scorse settimane Netflix ha annunciato che sta collaborando con Ubisoft per la produzione di tre giochi, fra cui uno basato su Assassin’s Creed e il seguito di Valiant Hearts; fra poco uscirà per le persone abbonate a Netflix Immortality, ultima esperienza di Sam Barlow (Her Story, Telling Lies); è uscito Desta (da ustwogames, sviluppatore di Monument Valley); fra i giochi entrati di recente nel catalogo ci sono Before Your Eyes, Into the Breach e Lucky Luna.
Insomma: Netflix si è concentrata sui giochi e oggi il catalogo è decisamente intrigante e vario; soprattutto – elemento secondo me ancora più rilevante – non ha promesso alcuna rivoluzione.
Mentre Google con Stadia voleva cambiare i paradigmi del settore, puntare a un’integrazione fra i suoi servizi mai vista e a ribaltare tutto, Netflix, per ora, si sta concentrando sul far arrivare giochi interessanti alle persone abbonate.
Netflix parla di un investimento pluriennale e di un’integrazione che possa massimizzare il valore delle sue proprietà intellettuali attraverso operazioni incrociate. Un esempio è Exploding Kittens: è stato pubblicato il gioco nel catalogo di Netflix e nel 2023 arriverà una serie animata.
I risultati, però, per ora sono abbastanza scarsi. Secondo un’indagine di Forrester i cui risultati sono stati riportati da Insider, solo il 5% delle persone abbonate a Netflix ha giocato nell’ultimo mese ai videogiochi inclusi e il 54% ha risposto che “non potrebbe importarmene di meno” (davvero). Soprattutto, appena il 4% ha detto che i giochi sono un motivo per rinnovare l’abbonamento.
La domanda, quindi, sorge spontanea: che ne sarà dell’investimento di Netflix nei videogiochi? Quanto spazio hanno società di questo tipo per aspettare i frutti del lavoro di anni?
La chiusura di Stadia non è l’unico campanello di allarme da considerare. Nelle scorse settimane, Snap (la società dietro all’applicazione Snapchat) ha comunicato, in un documento finanziario, che smetterà di investire nei videogiochi come parte di un piano di ristrutturazione e riposizionamento strategico che comporterà il licenziamento del 20% dei suoi dipendenti.
ByteDance, proprietaria di TikTok, avrebbe licenziato centinaia di persone che lavoravano sui videogiochi nelle sedi di Shanghai e Hangzhou, ha riportato il South China Morning Post.
Una delle ragioni, nel caso di ByteDance, sarebbe la forte regolamentazione che subiscono i videogiochi in Cina: una situazione che sta alla base dell’espansione internazionale di Tencent e di NetEase, altri due grandi società cinesi attive nei videogiochi.
La misura di Netflix
Le grandi società tecnologiche cercano sempre nuovi modi per estendere i propri servizi abbracciando settori che reputano attinenti.
Ci hanno provato in tanti; eppure, costantemente veniamo a conoscenza di aziende che licenziano, ridimensionano o rivedono le proprie strategie, a cominciare proprio dai videogiochi.
L’impressione è che l’investimento di Netflix sia più focalizzato: giochi mobile senza pubblicità; integrazione fra le proprietà intellettuali; graduale crescita degli studi interni attraverso sviluppo e acquisizioni. E quando un progetto è più focalizzato ha maggiori probabilità di riuscita.
Però Netflix è la stessa azienda che non rinnova senza esitazione le serie TV per una nuova stagione se i numeri di coinvolgimento non sono all’altezza delle aspettative; o se altre serie o film che sono costati di meno hanno riscontrato un successo maggiore e quindi rappresentano un investimento più efficiente (Squid Game docet).
Perciò, in un angolo del cervello, non riesco a staccarmi dall’idea che anche in questo caso sia già partito un conto alla rovescia.