La pandemia ha preso a farsi sentire. Non l’emergenza sanitaria, che ahimè conosciamo; bensì l’impatto che il lavoro da remoto sta avendo sullo sviluppo dei videogiochi. L’ho accennato nella newsletter di domenica scorsa commentando il Nintendo Direct: persino creare un trailer è complesso quando le persone coinvolte non sono fisicamente presenti; figuriamoci un gioco intero o un’espansione.
Questa settimana, da questo punto di vista, è stata lampante: Vampire: The Masquerade – Bloodlines 2 è stato rinviato a data da destinarsi (sebbene per problemi più estesi della sola pandemia, cioè probabilmente legati a uno sviluppo che già era travagliato); Gran Turismo 7 non arriverà quest’anno e anche la prossima espansione di Destiny 2 è stata rimandata al 2022. Questi ritardi si aggiungono a quelli precedentemente annunciati: anche Il Signore degli Anelli: Gollum e Hogwarts Legacy sono ora previsti per il 2022. E siamo soltanto a febbraio.
La situazione pandemica sta causando una profonda crisi dei chip e ciò sta influenzando la disponibilità delle nuove console, delle nuove schede grafiche e persino delle auto, sempre più informatizzate (e quindi bisognose di chip normalmente integrati nei computer). Altrettanto, sta impattando il lavoro degli sviluppatori: e aspettiamoci presto ulteriori ritardi.
La difficoltà a programmare le uscite sta spingendo le società a fare pochi annunci per la seconda parte dell’anno. Certo, è molto probabile che vedremo il nuovo episodio di FIFA e il nuovo Call of Duty; ma per gli altri progetti non annualizzati (per esempio Horizon Forbidden West e God of War, per ora previsti ancora per il 2021) è difficile essere altrettanto certi.
Lo scorso anno, il debutto di Cyberpunk 2077 – progetto già di per sé complesso per tante ragioni, alcune delle quali le ho descritte nella newsletter del 24 gennaio – ha reso evidenti le difficoltà della gestione del controllo qualità, durante cui i tester provano varie porzioni del gioco per verificare la presenza di bug. Sicuramente realizzare a dovere un gioco a mondo aperto come Cyberpunk 2077 – e con le ambizioni che aveva promesso – è una sfida maggiore rispetto ad altri generi; ma resta il fatto che il lavoro da remoto sta complicando la produzione dei videogiochi, già di per sé sensibile a momenti di crisi: perché è complesso rispettare le tempistiche; perché basta un baco improvviso per ritardare l’introduzione dei contenuti previsti; perché gli azionisti fanno pressione affinché le società realizzino giochi a un ritmo spesso non sostenibile.
Riepilogando, le case di sviluppo sono più caute per due motivi:
- Fare previsioni a medio termine in questo momento è complesso e annunciare una data di uscita significa rischiare di doverla rimandare, anche più di una volta
- Tentare di rispettare una data di uscita precedentemente annunciata può significare lanciare un gioco zeppo di problemi tecnici, com’è stato per Cyberpunk 2077. E non tutti hanno le spalle coperte per permetterselo (fermo restando che CD Projekt Red, lo sviluppatore di Cyberpunk 2077, si sta ancora leccando le ferite finanziarie)
La stagione dei rinvii insomma è già aperta e non sappiamo quando finirà.
Il rallentamento delle uscite, però, potrebbe anche portare dei benefici. È infatti evidente che il mercato dei videogiochi sia basato – come tanti altri, s’intende – su un fortissimo consumismo: bisogna finire un videogioco perché ce ne sono tanti altri che stanno uscendo e che vanno giocati e finiti per passare ad altro ancora. Un ritmo impossibile da sostenere: ci sono troppi prodotti. La continua richiesta di nuovi giochi è però una precisa esigenza di un mercato che vive costantemente con lo sguardo rivolto al futuro: alla crescita dei ricavi, alla prossima tecnologia grafica, alle prossime console. Un sistema evidentemente molto fragile.
Il calo degli annunci potrebbe solo essere momentaneo. Ma potrebbe anche essere un’ottima occasione per riflettere e rivalutare il rapporto con il videogioco.