Sono stati sufficienti 14 minuti per avere già delle valutazioni su Horizon: Forbidden West, gioco di Guerrilla Games che uscirà su PS4 e PS5 non si sa ancora esattamente quando. I siti specializzati italiani (1, 2, 3) si sono prodigati nel produrre rapidamente delle anteprime sulla base di ciò che si è visto: sia giudicando il gameplay (qualcosa che senza aver provato un gioco è difficile fare) sia azzardando alcune valutazioni tecniche sulla risoluzione. All’estero ci si è chiesto persino se è “il gioco graficamente più bello di tutti i tempi“.
Si tratta di un meccanismo da cui l’informazione videoludica specializzata non riesce a staccarsi: giudicare troppo presto; prima che i giochi siano commercializzati e sulla base del materiale che gli editori hanno voluto far vedere (quindi fortemente parziale). Si tratta dello stesso errore che ha generato grandi problemi a CD Projekt, che per anni ha lasciato intendere che Cyberpunk 2077 fosse tecnicamente avanzato anche su console: invece al lancio è emersa la complicata situazione con gravi problemi tecnici registrati soprattutto su PS4 e Xbox One.
La cultura dell’hype – cioè quel tipo di cultura dove l’attesa verso i nuovi prodotti è sempre fortissima e su cui fanno leva tante aziende, anche nei videogiochi, per generare interesse attorno alle loro produzioni e ai loro eventi – viene ritenuta un male: perché distorce le opinioni, non aiuta a informare e crea uno scenario in cui le parole diventano faide. Perché, soprattutto, polarizza e un ambiente polarizzato non è mai positivo. Quando la stampa specializzata giudica troppo presto alimenta la cultura dell’hype: la coccola, la vizia; le da linfa vitale con cui sostenersi.
So cosa potresti chiedermi: se i giornalistici videoludici non commentassero ciò che accade – anche quando è apparentemente di poco valore – di cosa parlerebbero? Come potrebbero generare traffico e click e quindi soldi dalle pubblicità se non sfruttassero le occasioni più ghiotte per parlare e generare discussioni?
Una risposta definitiva non ce l’ho: sono qui per aprire una discussione e non per puntare il dito contro qualcuno o qualcosa in particolare. Perché so che cambiare è complesso e richiede tanto tempo, soprattutto quando lavori ogni giorno in condizioni difficili da sostenere (cioè a malapena un sito di videogiochi riesce a sopravvivere) in un settore (l’editoria) fortemente debilitato e dove le piattaforme (Google in primis) stabiliscono dure regole da seguire e che cambiano costantemente.
Penso, però, che la chiave del futuro del settore dell’informazione sia creare comunità organiche che contribuiscono attivamente alle testate che ritengono di maggior valore (anche e soprattutto economicamente: bisogna fare tornare a far pagare le persone per le notizie); e che i siti d’informazione, da parte loro, debbano guadagnarsi tale fiducia scegliendo più accuratamente di cosa scrivere e, ancora più importante, di come scriverlo. Soprattutto, il futuro non passa dal ripetere gli stessi errori che ci hanno portato a dove siamo oggi: perpetrarli significa che, alla fine dei conti, va bene così. Perché le polemiche, anche se sterili e gonfiate, generano traffico; perché è più facile continuare a fare le cose come sono sempre state fatte anziché tentare una strada nuova; perché “ma sì, a chi vuoi che importi?”.
Di sicuro, sfidare la cultura dell’hype usando le stesse dinamiche della cultura dell’hype non porta da nessuna parte. Sempre che si voglia arrivare da un’altra parte.