In futuro i videogiochi costeranno ancora di più?

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Circa sei anni fa, il 10 giugno 2018, Microsoft ha cominciato un percorso di graduale espansione dei suoi studi interni, gli Xbox Game Studios. Phil Spencer era diventato amministratore delegato di Xbox quattro anni prima; Scalebound di Platinum Games, che avrebbe dovuto essere un’esclusiva Xbox, era stato cancellato l’anno precedente; Xbox One stava vendendo circa metà delle console di PlayStation 4, il diretto concorrente.

Alla conferenza E3 del 2018, Microsoft annunciò di aver acquisito quattro studi – Ninja Theory, Compulsion Games, Undead Labs e Playground Games – e di averne formato un quinto: The Initiative. L’anno successivo acquisì Double Fine.

Fu l’inizio di un percorso lungo; che di recente ha spinto Microsoft fino ad acquisire Zenimax nel 2020 e Activision Blizzard nel 2022. E solo oggi – sei anni dopo – possiamo valutare che tipo di impatto hanno avuto le acquisizioni del 2018, ciò che è avvenuto dopo e il suo significato; cos’è successo ai videogiochi che erano in sviluppo nel 2018; quali promesse sono state mantenute e quali, invece, sono state alterate.

Cambiamenti di questo tipo sono molto lenti. I loro effetti lo sono ancora di più.

Venendo a oggi, serviranno anni prima di capire se l’investimento su Game Pass ha funzionato oppure no; se il momento che sta attraversando Sony – con un maggiore focus sui videogiochi online e più titoli pubblicati anche su PC al lancio, ma anche meno vivacità – sarà stata soltanto una fase passeggera; e se la nuova console di Nintendo sarà stato o meno rilevante.

Ciò si scontra, però, con una velocità dell’informazione che è molto diversa. E che vuole le risposte oggi; e sempre oggi le vuole fornire ai lettori.

Il risultato, per esempio, è che chi guarda da fuori l’industria e come essa viene raccontata potrebbe apparire stranito, forse anche confuso, dal sapere che a gennaio e febbraio ci si chiedeva se Xbox avrebbe avuto futuro e cinque mesi dopo si celebra una sua conferenza usando termini assoluti molto positivi.

Il divario fra il ritmo di sviluppo degli avvicendamenti e la necessità di raccontarli mentre si svolgono – e quindi senza poter avere contezza di come finiranno e di quando – è un elemento centrale per discutere di una certa schizofrenia dell’informazione sui videogiochi: che spesso segue più il sentimento – dei giornalisti, dei content creator, degli utenti – e meno un reale processo di informazione contestualizzata.

Perciò, per quanto nessuno si aspetta che l’informazione – e in generale chi commenta questo settore – possa avere una dota di preveggenza, si può comunque fare qualcosa. Fra le altre cose, cominciare a essere meno definitivi sulle situazioni in corso, meno certi delle proprie convinzioni e meno propensi a inquadrare le vicende usando cornici preconfezionate.

Massimiliano


La possibilità che il prezzo dei videogiochi in futuro aumenti ancora è tutt’altro che remota.

D’altronde, è esattamente ciò che è successo nel corso degli anni: i costi per lo sviluppo sono aumentati, ma il pubblico di riferimento per console e PC non è cresciuto. Così, è stata l’unica possibilità, per gli editori, per tenere il passo.

Vent’anni fa acquistare il più recente grande videogioco costava 59,99 euro: ora 79,99 euro. Lo stesso vale per le console. Nel 2002, comprare una PlayStation 2 o una Xbox o un GameCube negli Stati Uniti costava 199 dollari. GameCube era stato lanciato a questo prezzo, mentre Sony e Microsoft decisero di ridurre il prezzo per fronteggiare la concorrenza. Oggi negli Stati Uniti una PlayStation 5 o una Xbox Series X costa 499 dollari, mentre una Nintendo Switch base viene venduta a 299,99 dollari ed è quindi considerata economica, per gli standard odierni.