“Games Week? Tanto coinvolgimento, ma converte zero”. L’intervista ad Andrea Valesini

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Ogni domenica invio una nuova puntata.

Questa è un’intervista che ho realizzato con Andrea Valesini, direttore creativo di Fantastico Studio, durante Milan Games Week. Per questo, è disponibile anche in audio. Sotto, la trascrizione completa.

Presentati brevemente. Cosa avete portato a Games Week?

Sono Andrea Valesini di Fantastico Studio e siamo qui con Circle of Football, videogioco multiplayer di calcio. Non il classico gioco di calcio che ci si può aspettare. È un’esperienza demenziale che mantiene solo il concetto di fare gol con il calcio vero. È un titolo che abbiamo iniziato a sviluppare anni fa, nel 2020, e che poi abbiamo lasciato da parte per concludere altri progetti che avevamo in corso. Dopo due anni, abbiamo deciso di completarlo e pubblicarlo.

A livello di dove pubblicare questo gioco, che indagini avete fatto e che ragionamenti avete fatto e state facendo rispetto alle piattaforme da raggiungere?

Due anni fa, noi facemmo un early access su Steam per iniziare a creare una community e capire qual era il nostro target, i nostri competitor. L’early access andò molto bene: il gioco fu giocato da migliaia di giocatori e ricevette centinaia di review, tutte positive. Capimmo che Steame e i PC in generale erano la piattaforma migliore da cui partire per creare una community.

Dopo di che, abbiamo fatto degli esperimenti su mobile, visto che su mobile si gioca perfettamente. L’idea nostra è di avere un gioco cross-platform, per cui da mobile, PC o console si può giocare e sfidarsi con altri giocatori. Pian piano siamo andati ad aggiungere: siamo partiti su Steam, siamo arrivati su mobile e ora stiamo perfezionando la parte console. Sarà un’esperienza che coinvolgerà gli utenti su tutte le piattaforme.

Il punto di pubblicare su tante piattaforma è anche che ogni piattaforma ha un pubblico leggermente diverso: Steam non è mobile e mobile non è console. Come approcciate, essendo un unico gioco che deve parlare a 3-4 tipologie di pubblico differenti?

In primis, ci viene incontro il gameplay, che è facilissimo. Si può giocare con i comandi touch, con un controller e persino con macchine meno performanti; non ci sono problemi con la versione Switch, che magari può avere performance inferiori rispetto alla versione PlayStation o Xbox. Per quanto riguarda Steam, è un prodotto che va bene e si riesce a creare la sua community. Su mobile sarà diverso perché, visto che il gioco sarà premium, i giochi a pagamento faticano ad andare. Vedremo: cercheremo di veicolare gente dalla versione Steam.

Su console, noi come studio lavoriamo da sei anni sulle principali console e sappiamo come funziona il marketing interno alle varie piattaforme, per cui contiamo di attivare alcune attività che PlayStation, Xbox mettono a disposizione per raggiungere più persone.

Siete sia sviluppatore sia editore. In che modo passate da un’identità all’altra e quando avete iniziato a pubblicare i videogiochi di altri, che sfide avete affrontato?

Passiamo da un’identità all’altra in maniera schizofrenica. Il nostro studio conta tre persone. Poi abbiamo diversi collaboratori a seconda del progetto con cui lavoriamo, ma il grosso del lavoro lo facciamo in tre; quindi è un po’ complesso passare dallo sviluppo all’attività di porting a quella di publishing. Questo, però, ha fatto sì che abbiamo acquisito un know how notevole, che ci permette di fare tante cose e di riuscire, volgarmente, a campare: uno studio indipendente italiano difficilmente riesce a vivere dei suoi giochi all’inizio. Fare un successo indie è una roba complicata, ci vuole del tempo. Per fortuna nostra, essendo così versatili e potendo fare diverse attività, possiamo fare in modo che lo studio rimanga aperto, credi prodotti e continui a lavorare.

E che lezioni avete imparato?

Siamo partiti con l’idea di sviluppare il titolo della vita, che avrebbe fatto miliardi, ma questo penso tutti. E abbiamo sbattuto contro un muro, come ci hanno sbattuto tutti. Per fortuna, non ci siamo fatti prendere dal panico. E avendo imparato, con quel gioco, a fare porting, abbiamo iniziato a cercare altre società e sviluppatori che avessero bisogno. Per fortuna ne abbiamo trovati ed è un’attività che sta andando molto bene per quanto ci riguarda. Il concetto è stato: lavorare su un progetto su cui abbiamo fatto tanta esperienza; a livello commerciale non è andato bene, ma ci ha permesso di aprire tanti altri canali.

La scena di sviluppo italiana sta crescendo tantissimo e quindi anche i giochi sono tantissimi. Come filtrate, come cercate il gioco che secondo voi non solo è buono, ma rientra nell’identità del panorama di giochi che già avete pubblicato. A monte, insomma, che tipo di selezione fate e come li scovate i giochi?

È vero che stanno crescendo tanto ed è pieno di giochi notevoli. L’attività di scouting funziona molto su Twitter. Andiamo a cercare hashtag come #indiegame, #madewithunity. E questo ci permette di scoprire ogni giorno decine di videogiochi incredibili. Pian piano cerchiamo di instaurare un rapporto con lo sviluppatore, di finalizzare il contratto di publishing.

Devo dirti che è abbastanza complicato tutto questo: i giochi sono tanti, la qualità dei prodotti è elevata.

E qual è la prima domanda che vi fanno gli sviluppatori quando li approcciate in termini di che accordi economici avrete, che libertà avranno, che cosa farete voi per supportare loro…?

Purtroppo, la prima domanda è se abbiamo fondi a disposizione. Dico purtroppo perché essendo una realtà micro-indie, per noi è difficile competere con un publisher serio, che magari può disporre di centinaia di milioni di dollari. La prima cosa che chiariamo è che noi possiamo fornire tutta l’assistenza necessaria per il marketing, il porting e la pubblicazione di un gioco, ma non abbiamo risorse per finanziare lo sviluppo.

Dopo di che, gli accordi cambiano in base al progetto, dalla complessità del progetto, da quanto richiede il nostro lavoro, su quante piattaforme verrà pubblicato. A seconda del progetto, ci sono accordi diversi.

Hai citato Twitter come piattaforma su cui cercate giochi. Ora Twitter sta vivendo il momento che sta vivendo, tanti se ne vanno consapevoli però che è il posto in cui la comunità si aggregava. Uno, quanto è importante Twitter e, due, come vi state comportando ora?

Twitter è fondamentale perché è pieno di sviluppatori di videogiochi, quindi uno riesce a interfacciarsi con altri colleghi, scoprire nuovi titoli, nuovi tool. Dal punto di vista del marketing, Twitter non è un buon strumento perché le persone che vedono questo tipo di contenuti sono le stesse che li fanno, quindi non sono le persone che acquisteranno il tuo gioco: sono tuoi colleghi. Avere dei numeri pazzeschi su Twitter fa sì che a volte un prodotto comunque non abbia successo dal punto di vista commerciale.

Purtroppo, funziona bene TikTok. Dico purtroppo perché lo odio con tutto il mio cuore: è un’applicazione piena di contenuti senza senso e io ci trovo tutto il male dei social network espresso lì. Però dal punto di vista del marketing, su TikTok si riescono a ottenere ottimi numeri dal punto di vista delle conversioni dei like in wishlist o in vendite.

Per Twitter, mi spiace che stia naufragando perché si creava un network con i colleghi. Noi stiamo provando a potenziare Discord, che è uno strumento che ti permette di avere un tuo canale dove puoi fare quello che vuoi e di interagire con la gente come preferisci: e questo è fondamentale, non c’è un algoritmo che deve decidere per quello che devi vedere e quello che devi fare.

Sto provando a usare Mastodon, dove ci sono delle meccaniche che fanno sì che mi piaccia perché viene meno la costrizione sui contenuti che uno deve vedere e questa cosa per me è fondamentale. Dove andrà Mastodon non lo so perché sono alle prime armi, ma sto provando a spostarmici e quindi a focalizzarmi solo su Discord e Mastodon.

Non mi aspettavo che TikTok convertisse così tanto. Ci sono giochi più adatti di altri a essere pubblicizzati tramite TikTok e come scegliete il pezzo di gioco da mostrare senza scoprire troppo, ma sapendo che su TikTok serve un aggancio nel giro di due secondi.

Premetto che su TikTok abbiamo ottenuto numeri fallimentari. Solo un contenuto nostro è diventato virale, quindi non siamo noi l’esempio migliore per poter parlare di TikTok. Ne parlo perché dei nostri colleghi hanno ottenuto dei numeri pazzeschi, hanno un account seguito da migliaia di persone, i loro contenuti fanno milioni di views e loro mi hanno spiegato che la conversione è enorme: tante wishlist su Steam arrivavano direttamente da TikTok.

Chiaramente ci sono giochi più vendibili di altri. Sempre parlando con queste persone, abbiamo capito che qualunque contenuto può andare bene, ma bisogna saperlo comunicare e riuscire a capire cosa del tuo gioco nei primi 2-3 secondi al massimo acchiappa l’utente. E questo cambia da gioco a gioco. Nel caso loro, sono i ragazzi di Strelka e Yonder che hanno fatto questo gioco che si chiama Hell is Others, che è un gioco multigiocatore, sparatutto, in pixel art, con un punto di vista top down. In realtà, non è un prodotto spendibile sui social e per di più TikTok è verticale. Loro però sono riusciti a trovare un modo di fare piccole clip e inserirsi nei trend del momento: andare a vedere cosa è di tendenza come canzone e quindi come contenuto legato alla canzone e di replicarlo applicandolo al tuo videogioco. Questa cosa ha pagato e hanno ottenuto ottimi risultati.

Però, questo continuare a inseguire tendenze di un’applicazione social o di intrattenimento come TikTok, ma potremmo citare Instagram o Facebook e tutte le altre, vi porta a non essere in controllo della vostra comunicazione sui videogiochi. Hai citato un altro studio, ma anche nella tua esperienza questo inseguire le tendenze dettate da altri fattori come incide sulla vostra campagna, che avevate organizzate precedentemente e internamente?

Su TikTok la pianificazione è in real time. Ogni giorno fai scouting e crei due giorni come minimo da postare. È un’attività che richiede un sacco di lavoro, perché significa che pubblichi 14 micro-video alla settimana. È un’operazione faticosa che paga e la pianificazione è in tempo reale, non c’è un lavoro a monte.

Sugli altri social sì, ci sono campagne che studi e decidi come impostare. È anche vero quello che dici tu: sei sempre legato a cercare di infilarti in dei filoni che sono stati già creati e segnati da altre persone, purtroppo. Noi italiani proviamo a interfacciarci con giocatori internazionali, soprattutto americani sono il grosso che poi compra il gioco e portano entrate. Per noi è complicato perché i trend che vanno negli Stati Uniti, li scopriamo quando sono già diventati virali non vivendo lì. Lavorando solo sul territorio nazionale, sarebbe più facile crearli, anche se per noi sarebbe inutile. Non ti voglio citare dati, il pubblico italiano è una parte piccola dei nostri utenti: noi campiamo grazie al pubblico americano e così altri nostri colleghi indie.

I dati indicano che il fatturato lo fate per il 94% dall’estero. Da questo punto di vista, l’Italia è un mercato insufficiente per supportare le aziende e i progetti che avete.

Confermo questo dato, anche se ultimamente abbiamo cambiato un po’ mentalità. Ci siamo fatti dei ragionamenti e ci siamo detti: va bene, saranno anche pochi, ma se uno riuscisse a fidelizzare i giocatori italiani e farli affezionare a prodotti che non sono molto apprezzati. A tutti sarà capitato di avere amici che giocano solo a Call of Duty o a Fornite. Facendo capire che non ci sono solo quei prodotti, ma c’è tutto un mondo indie che è più libero da alcune dinamiche e permette agli sviluppatori di creare esperienze più divertenti dei tripla A. Il brutto dei tripla A è che si assomigliano un po’ tutti: deve rispettare determinati tipi di meccaniche. Così vengono fuori prodotti in cui cambia l’IP o la presentazione visiva, ma il gameplay è uguale e alla lunga possono essere noiosi.

Io e i miei colleghi dobbiamo lavorare di più facendo capire al pubblico italiano che c’è un mondo, che è quello dell’indie, che è fighissimo e sarebbe bello esplorare.

Come settore e stampa ci chiediamo spesso cosa sia essere indie. Io voglio saperlo da voi che lo siete realmente: cosa vuol dire oggi? È un’etichetta che ormai vale un po’ tutto.

Ai tempi ella mia testa mi ero fatto l’idea che indie significasse essere pochi collaboratori, non avere grande budget, fate self-publishing perché non si riesce a intercettare i grandi publisher. L’idea che ho oggi è che ciò che ci differenzia rispetto agli studi che fanno AA e AAA è essere liberi: chiunque fa un prodotto innovativo dal punto di vista del gameplay, che non rispetta determinati standard e se ne sbatte di andare a rispettare quegli standard per fare pubblico, ma vuole essere vincente per la sua idea…per me questo vuole dire essere indie ed essere indipendenti da determinati tipi di meccaniche.

Da poco il tax credit è stato aumentato a 16 milioni, del First Playable Fund non c’è più niente perché non è stato rifinanziato. Ritenete che sia una situazione decente, visto che sappiamo che in Italia siamo in ritardo, o manca qualcosa e se sì, che cosa?

Posso dirti che sono stato l’anno scorso alla GDC a San Francisco e ho avuto la fortuna di partecipare a un evento con il CEO di Unity, che è italo-americano. L’associazione di categoria IIDEA, che aveva organizzato l’evento, aveva fatto notare come le cose stessero cambiando e lo Stato avesse stanziato molti più soldi con il tax credit. Lui si è messo a ridere dicendo che lo Stato italiano sta dedicando a questo è decisamente inferiore a quanto lui fa di charity ogni anno e quindi rispondeva dicendo “non venitemi a dire che questo sono grandi progressi, è uno sforzo minimo”.

Non dico che lo Stato italiano dovrebbe puntare esclusivamente sui videogiochi: ci sono tanti problemi che abbiamo che necessitano di soldi e sono anche migliori da risolvere. Il punto è come il videogioco viene percepito: questa industria non è percepita da determinati politici e figure. Secondo me è un errore clamoroso perché al momento è l’industria che sta tirando di più. Rimanere con l’impostazione che ha l’Italia che è turismo, ristorazione e al massimo moda, a me taglia le braccia, mi fa sentire provinciale. Spero che in un futuro possa cambiare qualcosa, ma mi sembra improbabile.

Un evento come la Games Week, che è consumer e l’indie dungeon è una piccola porzione dei padiglioni inclusi, vi permette di raggiungere nuovo pubblico, persone che altrimenti non avreste incuriosito?

Purtroppo temo di no. Ogni volta che veniamo qui, siamo già venuti negli anni passati, otteniamo ottimi risultati dal punto di vista del coinvolgimento dei giocatori e l’apprezzamento del contenuto, però subito dopo questo evento non abbiamo mai notato dei cambiamenti sostanziali in termini di wishlist, follower, ecc. Cosa che invece andando a San Francisco devo dire abbiamo notato. Eravamo lì con un gioco più particolare perché era un gioco culturale; ma l’interesse che c’è stato si è trasformato poi in wishlist, vendite e follower.

Devo riconoscere che da questo punto di vista non abbiamo mai ottenuto buoni risultati. Poi, ben venga che in un evento così ci sia spazio per gli eventi italiani e speriamo che in futuro cambi qualcosa.