Influenze e aspettative: l’intervista a Michele Giannone (Invader Studios)

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Invader Studios ha una storia molto particolare. I fondatori avevano iniziato a lavorare (quando Invader Studios ancora non esisteva) a un rifacimento amatoriale di Resident Evil 2; ma quando Capcom decise di svilupparne uno ufficiale, chiese agli sviluppatori, che nel frattempo avevano fatto parlare di sé sia in Italia sia all’estero, di cessare i lavori e li invitò presso la loro sede giapponese.

Da quell’incontro Invader Studios iniziò poi a lavorare su Daymare 1998, che ha debuttato nel 2019 su PC e nel 2020 su PS4 e Xbox One.

Ho intervistato Michele Giannone, co-fondatore, per parlare di sviluppo, scelte e di cosa, magari, Invader Studios avrebbe fatto di diverso con il senno di poi.

Ora Invader Studios sta lavorando al prequel, Daymare 1994: Sandcastle, previsto per il 2022.

Massimiliano: Con anni in più di esperienza, cosa avresti fatto di diverso nello sviluppo e nel lancio di Daymare 1998?

Michele Giannone: Essendo il primo titolo che abbiamo lanciato ed essendo che la gran parte delle decisioni operative per il lancio sono state decise con il publisher, per noi è stato tutto una scoperta: non possiamo dire se una cosa sia stata giusta o sbagliata. Il lavoro ha portato a risultati ottimali, quindi non abbiamo nulla da rimarcare per errori o decisioni errate.

Diciamo che può essere valutabile uscire multipiattaforma anziché prima PC e poi console; ma non è detto che potesse essere meglio una cosa o l’altra. Alla fine, è andata bene così: i porting costano tempo e soldi e sono decisioni prese a monte e non necessariamente giuste o sbagliate. Tanti titoli vanno subito multipiattaforma mentre altri arrivano prima su PC e poi su console.

Per quel che riguarda lo sviluppo, è stato tutto una novità. Un titolo con tre personaggi giocabili, in terza persona e che dura 10-15 ore è complesso rispetto a titoli dai valori produttivi più bassi: ce la siamo cercata bella dura fin da subito. Così però abbiamo scoperto dei processi che ci stanno tornando utili adesso con il secondo gioco della serie.

Anche da questo punto di vista, non abbiamo nulla di cui pentirci. Stiamo cambiando delle cose dal punto di vista dello sviluppo, ma in virtù di quell’esperienza che abbiamo fatto: sono processi che vanno affinati e migliorati e con un terzo titolo miglioreremo ancora rispetto alla produzione del secondo. Fa parte del processo di crescita di qualunque settore.

Sei stato da entrambe le parti della barricata: prima hai fatto parte dell’informazione dei videogiochi e poi sei passato, con Invader, a crearli. Nel tempo hai ovviamente creato relazioni e magari persino amicizie. Secondo te, la stampa italiana ha un atteggiamento di maggiore riguardo rispetto ai videogiochi italiani?

Non ho motivo di crederlo né con noi né con gli altri. Sta alla testata e al giornalista essere onesto o non influenzato dal fatto che il titolo sia più o meno italiano o una produzione più o meno grande. Dipende da come ci si pone nella realizzazione del pezzo: è una decisione editoriale e dipende da chi scrive, dalla testata e da che messaggio vuole mandare.

La mia sensazione con il nostro titolo è che no, non c’è stata questa influenza.

Questa sorta di campanilismo, chiamiamolo così, poi viene facilmente smontato dalle realtà editoriali internazionali che, non essendo potenzialmente influenzate da queste motivazioni, smontano i voti della stampa italiana. Se ci sono, si smascherano da sole.

Voi avete avuto una storia particolare: prima avete lavorato su un remake amatoriale di Resident Evil 2; poi c’è stata l’avvicendamento con Capcom, che vi ha persino invitato in Giappone a vedere in anteprima il nuovo Resident Evil. Questa storia e anche il coinvolgimento di alcuni esperti di Capcom, che hanno fornito consulenze e consigli, hanno influenzato le aspettative verso Daymare: 1998?

Sì, vedemmo Resident Evil 7 in anteprima e rimanemmo molto sorpresi. Ci mostrarono anche il loro rifacimento di Resident Evil 2. Ci sono diverse sfaccettature, ma penso di sì, che abbia influenzato.

Fin dall’inizio abbiamo spinto Daymare: 1998 come un titolo legato al genere dei survival horror di quello stampo; abbiamo spinto cioè sulle analogie e sul fatto che ricalcasse le atmosfere, le meccaniche e il contesto di Resident Evil. Ha sicuramente generato un’attesa altissima.

Ovviamente noi abbiamo inserito le nostre idee e degli elementi originali che hanno reso Daymare 1998 unico e diverso rispetto a Resident Evil: dalla storia alle ambientazioni fino alle meccaniche e la grafica. Sono tutti elementi di alto livello per un team di poche persone e un budget basso se confrontati con un gioco come Resident Evil.

Siamo contenti perché, nonostante tale confronto, agli utenti è piaciuto. Al tempo non c’erano i remake in arrivo di Resident Evil: è chiaro che siamo andati a sostituire la tipologia di giochi che gli utenti volevano, ossia in stile Resident Evil e in terza persona.

Sicuramente la nostra storia ha influenzato, ma fortunatamente non stiamo parlando di un titolo che è andato male; anzi ne siamo felici. Il che significa che siamo riusciti a veicolare bene le nostre intenzioni e il messaggio del gioco. Con il nuovo titolo in arrivo vogliamo staccarci da quel tipo di produzione pur ricalcando quanto fatto con il primo Daymare.

Questione vendite: avete avuto un picco al lancio che poi è immediatamente calato oppure l’andamento è stato più regolare?

Non avendo uno storico di altri titoli pubblicati, non potevamo fare un confronto, però siamo rimasti molto sorpresi. Il lancio su Steam era già andato bene, ma il lancio console ha spinto molto. Se il marketing di PlayStation e Xbox va bene, a quel punto anche le vendite Steam vengono trainate.

Inoltre, il ciclo vitale è lungo nel momento in cui si sfruttano gli sconti. Ci siamo accorti che per il nostro titolo c’è stato un ciclo vitale parecchio lungo e costante nel tempo, ovviamente facendo riferimento ai titoli nella fascia fra gli AA e gli indie, diciamo così. Ne siamo contenti e soddisfatti.

Può capitare che la data di uscita di un videogioco debba essere rinviata perché serve più tempo per lavorarci; ma prolungare lo sviluppo significa anche alzare i costi e quindi dover aumentare il numero di copie vendute necessarie per rientrare nei costi e, questo è l’auspicio, passare a guadagnarci. Arriva un punto, però, in cui lo sviluppatore dice “ok, dobbiamo pubblicarlo comunque perché altrimenti rischia l’intero progetto”?

È il publisher che decide la finestra di lancio relativamente al marketing e al suo investimento. È difficile. Nel caso di Daymare 1998, il publisher è entrato solo nella fase finale della produzione e non ha inciso sullo sviluppo, ma ha lavorato sul marketing, sul controllo qualità e sul lancio vero e proprio. In quel caso siamo arrivati di comune accordo a un prodotto che fosse buono per lanciarlo.

Con il nuovo publisher (Leonardo Interactive, ndr) siamo partiti insieme sin dalle prime fasi dello sviluppo; quindi c’è una sorta di supervisione, di lavoro insieme fin dall’inizio e perciò si riesce a capire con più margine di tempo quali siano le date migliori e se si riesce a rispettare la data fissata.

I casi dei publisher che vanno a forzare l’uscita di un titolo, anche se non perfetto, sono molti perché i publisher faticano a switchare facilmente con un altro titolo.

Nella nostra esperienza non c’è una regola fissa perché dipende dal publisher e dagli accordi che, per esempio, ha fatto per la distribuzione. È un discorso complesso.

Domanda volutamente esagerata: puoi scegliere fra un successo di vendite, ma un lancio casinato; oppure un lancio tranquillo, ma vendite risicate. Cosa scegli e perché?

Dal punto di vista aziendale, credo che sia meglio lavorare con la qualità per avere una continuità e una fiducia che crei una credibilità percepita dall’esterno che rimanga sempre di alto livello sia riguardo ai titoli da te prodotti, e quindi verso il pubblico, sia per lavori B2B e work for hire. È chiaro che, poi, dipende sempre dai numeri.

La nostra filosofia è di portare avanti il buon nome della società con prodotti buoni, credibili e funzionanti così che i numeri della società non siano legati a un’unica “bomba” del mercato. Per noi è meglio farsi un bel nome lavorando a prodotti che siano di alta qualità piuttosto che fare dei numeri incredibili e poi perdere la faccia e la credibilità e mettere in discussione anche i prossimi prodotti dal punto di vista della comunità, della stampa e dei legami business che ruotano attorno a questo settore.

Puoi anticiparmi qualcosa su Daymare 1994: Sandcastle? Come avete lavorato per evolvere il primo?

Siamo partiti dai feedback dei giocatori, della stampa e da qualcosa che già sapevamo rispetto al primo titolo. Abbiamo analizzato tutte le cose che non avevano funzionato puntando a migliorarle per Daymare 1994, anche dal punto di vista tecnico e di ottimizzazione.

Daymare 1994 è un prequel: torneranno alcuni personaggi e ci saranno diversi intrecci che andranno a ramificarsi fra i quattro anni che passano fra il 1994 e il 1998.Rispetto al gameplay, abbiamo cercato di consolidare le meccaniche di Daymare 1998 e di innestarle con degli elementi originali. Come abbiamo mostrato nel trailer e poi sul sito del gioco, c’è questa sorta di nuovo equipaggiamento della protagonista. Molti utenti ci hanno detto che il feeling è futuristico, ma abbiamo spiegato che invece, quando si mettono le mani sul gioco, non è così. Abbiamo scavato nella nostra creatività per inserire delle nuove situazioni che speriamo stupiscano il giocatore.

Siamo ben fedeli all’universo di Daymare e agli anni ’90, pur con qualche licenza e un po’ di creatività e fantasia che fanno sempre bene: sono il tratto distintivo che ci piace dare alle nostre produzioni.