La lingua dei videogiochi

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Ogni domenica invio una nuova puntata.

Giocare a Cocoon, videogioco di recente pubblicazione creato da Geometric Interactive, richiede due cose: premere un tasto e muoversi con la levetta analogica (sto prendendo in considerazione un controller, naturalmente). Al massimo, tenere premuto un po’ più a lungo questo tasto.

Il che, al di là della qualità dell’esperienza di gioco, ha spinto a giudicare Cocoon – oltre che un bell’esempio di cosa si possa fare con meccaniche di gioco incrementali, ma di fatto anche “semplici” – un’eccezionale dimostrazione di game design. Cosa che Cocoon è senza dubbio; ma bisogna fare una distinzione e fare attenzione prima di affermare che questo game design – a prima vista semplice nonostante sia affascinante (e infatti funzioni molto bene in Cocoon) – possa anche essere accessibile.

Un altro esempio che mi viene in mente è Super Mario Run: un incredibile videogioco mobile, con uno sfortunato riscontro commerciale, che si gioca con un solo dito, perché toccando lo schermo si salta. E basta: perché il personaggio, Super Mario, si muove da solo e sempre in avanti.

Richiedere solo la pressione di un tasto spesso non è sufficiente, però, a rendere “leggibile” il videogioco anche a chi non gioca spesso ai videogiochi: che non riesce sempre a intuire la prossima mossa e a capire in che modo l’ambiente virtuale, il posizionamento degli oggetti, persino il colore di quegli oggetti sta dicendo qualcosa. Il videogioco ha molte connotazioni di un altro linguaggio e perciò chi non lo ha imparato non riesce a leggerlo; anche da qui nasce la necessità dei tutorial: che però spesso continuano a parlare la lingua del videogioco, salvo rare eccezioni.

Si parla spesso di accessibilità al videogioco riferendosi a quell’insieme di funzionalità che permettono a persone affette da varie tipologie di disabilità di fruire dell’esperienza di gioco: modificare i colori per i daltonici o l’utilizzo di controller modulari per chi ha difficoltà fisiche sono ottimi esempi. Ma queste persone comunque sanno come devono affrontare il videogioco: devono affrontare un ostacolo diverso, ma la lingua del videogioco la conoscono bene. Se si trovano di fronte a un muro colorato diversamente da tutti gli altri, riconoscono che quella cosa lì è un modo in cui chi ha sviluppato il videogioco ha voluto segnalare che quel muro colorato serve a qualcosa.

Quando, quindi, pensiamo a quanto un videogioco, a prima vista semplice, possa essere facilmente approcciabile, conviene ricordare che molte persone, fra cui il sottoscritto, appartengono a una bolla che questo linguaggio lo hanno così assimilato da intercettare senza pensarci cosa fare, come farlo e perché va fatto. Anzi: tanti videogiochi ormai provano a sfidare le aspettative e i canoni dei videogiochi per sorprendere chi sta di fronte allo schermo.

Dirò una cosa banale: prendere in mano un libro e iniziare a leggere non richiede un tutorial; iniziare a guardare una serie TV non richiede un tutorial; iniziare ad ascoltare musica non richiede un tutorial. Anche in questo senso il videogioco deve convivere, e forse per sempre, con la sua vena tecnologia: che sì, invece, richiede spesso tutorial, insegnamenti e tentativi andati a vuoto.