La storia di Mark Cerny

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Nei mesi scorsi la serie di videogiochi online di corse The Crew di Ubisoft è stata al centro di una campagna, soprattutto nel Regno Unito. I server del primo titolo della serie, pubblicato nel 2014, sono stati spenti lo scorso 31 marzo.

Il punto della campagna, chiamata “Stop Killing Games”, era di garantire un qualche tipo di accesso: una campagna offline oppure la possibilità di aprire server privati, per esempio.

I videogiochi online di questo tipo sembrano sempre avere una data di scadenza, corta o lunga a seconda del loro successo – e lo abbiamo visto di recente con Concord. The Crew 2 è uscito nel 2018 ed è ancora attivo. E alla fine del 2023 è stato pubblicato The Crew Motorfest.

Nessuno si aspetta che un editore come Ubisoft, o qualunque altro, debba continuare a spendere soldi in un titolo che, evidentemente, non funziona più dal punto di vista commerciale. Ma ogni volta che un videogioco online viene spento perdiamo un pezzo di storia videoludica per sempre.

Il Dipartimento della Cultura, dei Media e dello Sport britannico aveva evidenziato che nel Regno Unito non esiste alcuna legge che obblighi i produttori di software a continuare a supportare i propri prodotti. Però, aveva anche aggiunto che “se i consumatori sono indotti a credere che un gioco rimarrà giocabile indefinitivamente su determinati sistemi, nonostante la fine del supporto fisico, il [Consumer Protection from Unfair Trading Regulations 2008] potrebbe richiedere che il gioco rimanga tecnicamente fruibile (ad esempio, disponibile offline) per essere giocato in tali circostanze”. Uno spiraglio.

Nei giorni scorsi Ubisoft ha annunciato che sta “esplorando soluzioni differenti” per The Crew 2 e The Crew Motorfest, dopo aver sentito le proteste di alcuni videogiocatori. Per ora, ha già confermato che verrà introdotta una modalità offline “per assicurare l’accesso a lungo termine di entrambi i titoli”.

Spesso si dice che la preservazione dei videogiochi e l’accesso è demandata eccessivamente alla sensibilità delle aziende: che puntando al profitto, spengono i server senza troppa esitazione per ridurre i costi e spostare risorse e investimenti altrove. E che, quindi, sono necessarie regole e leggi da parte delle istituzioni affinché ciò, invece, avvenga.

Per cui, il fatto che stavolta Ubisoft abbia deciso di farlo spontaneamente, pur spinta da una parte del pubblico, è comunque un risultato tutt’altro che scontato e che sarebbe molto bello vedere più spesso.

Massimiliano


Mark Cerny è una delle persone che più ha influenzato PlayStation nel corso della sua storia. Eppure, ancora oggi non è un dipendente di Sony: è un consulente esterno, sebbene fornisca il suo servizio unicamente a Sony Interactive Entertainment.

Nel 1998 ha fondato, insieme a sua moglie, Cerny Games: è attraverso questa azienda che da oltre vent’anni si è avvicinato sempre di più a Sony, fino a diventare il responsabile dell’architettura delle recenti console.

La carriera di Cerny è cominciata nel 1982. Allora era solo un ragazzo di 17 anni con la voglia di iniziare a creare videogiochi. Un incontro fortuito con un giornalista che aveva gli agganci giusti gli permise di avere un colloquio in Atari, che andò bene ed entrò pochi mesi dopo il debutto di Centipede. Il videogioco arcade Marble Madness è il primo a cui Cerny abbia lavorato.

Le storiche vicissitudini di Atari, che soffrì la crisi dei videogiochi negli Stati Uniti del 1983, spinse Cerny a lasciare la società nel 1985.