Le belle luci dei videogiochi

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Sony ha annunciato che God of War arriverà anche su PC a distanza di tre anni dal suo debutto su PlayStation 4. Tale notizia è stata accolta perlopiù positivamente, come si spera sia il caso quando una produzione di valore viene resa accessibile a un pubblico più vasto. Una minoranza di persone, invece, ha contrastato la scelta, evidenziando come renda meno valido il loro acquisto di una console perché decade il concetto di esclusiva.

Non concordo con tale minoranza: penso che ci siano vari motivi per acquistare una console e che credere ciecamente alle aziende sia sbagliato. In generale, l’acquisto al lancio di un qualsiasi prodotto è qualcosa che non mi appartiene e che sconsiglio a tutti.

C’è un però.

PlayStation (e non solo) per anni ha convinto i giocatori a comprare il suo hardware con la tacita intesa che sarebbero arrivati ottimi giochi solamente su quella console. Che continuano ad arrivare, sia chiaro; ma se poi debuttano su PC, tale accordo implicito viene, in un certo senso, violato. Così come è stato violato quando Sony ha deciso, per legittime posizioni commerciali, di proporre anche su PS4 giochi che invece erano stati annunciati come esclusive PS5 (Horizon: Forbidden West, Gran Turismo 7 e God of War Ragnarok) proprio per spingere le vendite della nuova console.

Ciò che i produttori hardware promettono ai giocatori che scelgono di acquistare le console al lancio o comunque in prossimità del debutto sul mercato è il ricco “premio” di contenuti che soltanto su quella macchina potranno essere eseguiti. È una strategia che sta contraddistinguendo soprattutto Nintendo e Sony ormai; e anche quest’ultima lentamente la sta indebolendo, spostando alcune produzioni rilevanti, ad anni di distanza, su PC.

La reazione di una parte fedele di persone è figlia, perciò, di un dialogo fra aziende e consumatori che va avanti da decenni e che oggi che le strategie stanno cambiando – e perciò spinge Sony a pubblicare alcuni dei suoi giochi distintivi, come God of War e Uncharted, anche su PC per estendere il suo pubblico – è difficile da sradicare.

Delegittimare a priori e totalmente la posizione di questi utenti è sbagliato. Così come lo è stiparli tutti all’interno di un unico grosso gruppo omogeneo, finendo per fare di un’erba un fascio, piuttosto che valutare la possibilità che alcune di tali istanze – per quanto lontane dalla sensibilità culturale che vuole svincolare il videogioco dagli schemi industriali che lo hanno accompagnato per generazioni di console – siano valide. 

Massimiliano


Come lavora una lighting artist

Insert Coin è nata (anche) per conoscere più da vicino chi nei videogiochi ci lavora ogni giorno. Per questo ho intervistato con piacere chi scrive articoli, chi fa critica videoludica e chi lavora nelle associazioni.

Con Arianna Fusetti, lighting artist di Frontier Developments, ho voluto entrare nel mondo di chi i videogiochi contribuisce a crearli per comprendere i meccanismi e i perché di ciò che fa ogni giorno.

Se vuoi sapere di più, puoi seguire i lavori di Arianna su ArtStation e su Instagram.

Massimiliano: Come hai iniziato a lavorare nei videogiochi?

Arianna Fusetti: Io sono nei videogiochi da circa quattro anni. Ne ho fatti tre in Milestone, che è stata la prima azienda fatta e finita in cui sono entrata come dipendente. L’anno prima l’ho fatto come freelance studentesco. Ho collaborato con un paio di studi indie facendo modelli 3D e character.

Una volta finito il liceo mi sono trasferita a Milano per entrare in una delle scuole 3D che al tempo stavano sorgendo. Ne ho scelta una che non dava una formazione specifica sui videogiochi, ma una generale sulla grafica 2D e 3D. Era più incentrata sulla motion graphic. 

Dalla fine del primo anno ho cercato di trovare più lavori freelance che potevo nei campi che mi permettessero di lavorare per capire dove orientarmi: ho lavorato con la motion graphic per la TV e i video musicali. Poi ho trovato una collaborazione con uno studio indie, ho lavorato sul mio portfolio e poi sono andata in Milestone. Ora lavoro per una società britannica.

Cosa ti ha spinto a cambiare azienda? Hai trovato un ambiente diverso passando da un’azienda italiana di videogiochi a una britannica?

Ho cambiato per motivi personali: in Italia ci sono poche aziende che fanno videogiochi molto alti e che non siano racing, un genere che a me non interessa. Allo stesso tempo, non mi interessava lavorare in uno studio indie.

Una cosa che ho notato nella mia piccola esperienza è che l’azienda italiana, anche se forte sui videogiochi, è ancora un po’ indietro. In Inghilterra ci sono tantissimi studi e anche le organizzazioni di riflesso – dai bonus agli stipendi e la gerarchia – sono molto più evolute. Ciò che sto vedendo in Inghilterra è che ci sono vari gruppi con altrettanti lead. Se stai lavorando a una mappa, io ero abituata ad andare da una sola persona che curava tutti gli aspetti. Ora ci sono tante figure di riferimento diverse per ogni aspetto della mappa: chi cura solo gli alberi, chi il terreno e via così.

Uno dei lavori personali di Arianna Fusetti (ArtStation)

Perché ti sei specializzata nell’illuminazione? Per esigenza professionale, un particolare talento…?

Inizialmente ho fatto VFX, con cui ci si riferisce agli effetti speciali e anche all’illuminazione perché devi saper fare entrambi. Io ho iniziato come VFX artist in Milestone.

Avendo trovato più lavori come VFX Artist, mi sono specializzata in questo campo. Facendolo poi ho notato che mi piaceva di più e mi riusciva meglio del resto; quindi ho deciso di continuare così. È una cosa soddisfacente. A seconda del tuo ruolo puoi vedere solo una parte della scena; invece quando arriva a me, magari non è ancora finita, ma poiché io lavoro anche nel post-produzione, vedo il prodotto finito, che magari è bellissimo, e ho l’idea di star mettendo quel pezzo in più per renderlo ancora più bello.

Nel dettaglio, cosa fai come lighting artist? Cosa prevede il tuo ruolo all’interno del processo di sviluppo di un videogioco? 

È una posizione jolly. A seconda dell’azienda ti fanno fare tutto o niente. In Milestone mi occupavo degli effetti speciali del gioco: il terreno sollevato dalle ruote della moto, il fumo, le fiamme. Devo decidere il posizionamento di tutte le luci, dove metterle e come; decidere dove stanno le nuvole o dipingere il cielo: dipende dal gioco.