Le condizioni di lavoro nel doppiaggio dei videogiochi

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Questa edizione è contraddistinta da un altro lungo approfondimento. Ho voluto capire meglio il mondo del doppiaggio applicato ai videogiochi: come si lavora, come si viene pagati, come funziona la localizzazione e la gestazione di una fase poco trattata, ma anche molto influente nel risultato finale se pensiamo a tutte le volte in cui una persona ha chiesto “ma questo gioco esce in italiano?”

Il risultato è il frutto dell’intervista a quattro persone – questa volta nessuna di queste anonima – che hanno condiviso uno spaccato del loro lavoro e di cosa significa avere a che fare con questo ambito: anche questo, come tutti gli altri dei videogiochi, spesso vive di un’anormalità che diventa la normalità.

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Introduzione finita, per stavolta.

Massimiliano


(Facendo le ricerche per questo articolo, mi sono imbattuto in un precedente speciale molto interessante e molto approfondito sul doppiaggio dei videogiochi in Italia. È stato scritto da Damiano Gerli e francamente te lo consiglio tanto.)


Doppiare i videogiochi è un gran casino. Non dovrebbe sorprendere più di tanto: perché creare videogiochi è già di per sé un gran casino.

Chi lavora nel doppiaggio nei film è certo di una cosa: il suo lavoro avviene alla fine della corsa. Cioè nel momento in cui il film è pronto, le scene sono concluse e a quel punto subentrano i doppiatori e le doppiatrici per prestare la loro voce per localizzare il film.

Nei videogiochi, invece, non solo il prodotto non è finito quando vengono chiamati doppiatori e doppiatrici; ma spesso il videogioco sottostante continua a cambiare, con l’impatto che ci si può aspettare su chi, poco prima, aveva registrato una sessione di doppiaggio: che a quel punto non serve più e va rifatta.

È questa una parte dell’incredibile condizione in cui versa il doppiaggio dei videogiochi.

Ho parlato con due doppiatrici, un responsabile di un’azienda di localizzazione e un giornalista per comprendere meglio il dietro le quinte di un lavoro poco trattato quando parliamo della produzione dei videogiochi.

Il quadro che ne è emerso alla fine è persino più scoraggiante di quando ho cominciato.

Come si organizza il doppiaggio dei videogiochi

Il doppiaggio è parte integrante del percorso di localizzazione di un videogioco. Significa che, esattamente come il resto della localizzazione, è un processo che prende forma mentre il videogioco è ancora in sviluppo.

“Un gioco, quando comincia la fase di localizzazione, non è mai finito”, spiega Nino Nastasi, amministratore delegato di Seamonkeys, studio di localizzazione che si è occupato, per esempio, di Mario + Rabbids: Sparks of Hope e Assassin’s Creed Valhalla. “Quando si comincia a tradurre è anche il momento in cui il gioco, nella lingua originale, dovrebbe essere chiuso. Invece per un prodotto medio-grosso la fase della localizzazione copre gli ultimi mesi”.

Nonostante tale finestra temporale lascerebbe pensare che il videogioco si trovi in una fase perlomeno stabile, non è proprio così; e anzi, sono frequenti i casi in cui la società che lo sta sviluppando si fa risentire perché è cambiata una scena oppure perché una missione, che prima era prevista, è stata cancellata: e perciò una parte della registrazione va sistemata o, peggio, rifatta da capo.

Tutto questo, in più, con del materiale che già in partenza era molto basilare se non insufficiente: video dove gli attori vestono le classiche tute da motion capture oppure dei semplici filmati di riferimento per capire dove sta puntando la telecamera. A volte, neanche dei video, ma solo degli artwork, delle bozze visive, che delineano i tratti di un personaggio.

Ciò nonostante il doppiaggio possa arrivare, in certe produzioni, a rappresentare il 60% dell’intero budget destinato alla localizzazione, ha spiegato Nastasi.

“Noi cominciamo il nostro lavoro alla fine dello sviluppo, ma a quel punto è ancora ‘in progress’ e quasi sempre dobbiamo lavorare in batch – non abbiamo mai il gioco completo di fronte o uno script definitivo – e spesso non abbiamo nemmeno i video”, prosegue Nastasi. “E non dico i video finali, ma nessun video proprio, perché magari non sono finiti. Ci danno dei video di riferimento, con dei camera lock per vedere com’è la scena e da che punto di vista si vede; quindi noi dobbiamo riuscire a raggiungere il giusto compromesso fra tutti i materiali che arrivano, che in teoria dovrebbero essere definitivi. Quello che invece succede è che dopo le prime batch qualcosa cambia, viene cambiata la voce di un attore o cambiano le frasi”.

Una situazione in continuo mutamento dove la certezza è una sola: in qualche modo, quel doppiaggio dev’essere fatto.

“Sembra sempre di camminare sulle uova quando si fanno queste cose, finché non ti abitui e capisci che è obiettivamente la normalità per molti publisher e developer continuare a lavorare sul loro prodotto anche quando è nell’ultima fase, quella di localizzazione, e in teoria dovrebbe essere finito”, confessa Nastasi.

Il punto è che ciò può portare a delle situazioni veramente al limite in cui le condizioni di lavoro, già anormali rispetto ad altri settori esponenti del doppiaggio, vengono estremizzate. Come dover rifare più e più volte certe parti del doppiaggio.