Le parole che usiamo per descrivere i videogiochi

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Parlare di videogiochi a volte è complicato e nel corso delle ultime settimane abbiamo notato il perché.

Lo abbiamo notato non perché siano emersi nuovi spunti; bensì perché sono tornati spunti e discussioni e argomentazioni trite e ritrite, già sentite tante volte negli anni scorsi.

Penso, per esempio, a come distinguere un remake da un remaster – segnalo che su Le parole dei videogiochi Mattia Ravanelli ne ha scritto in due parti, se vi interessa il discorso – oppure a quali caratteristiche identifichino un videogioco indipendente, dopo che Dave the Diver, pubblicato da una grossa società (Nexon), è stato inserito fra le candidature di questa categoria dei The Game Awards.

Io con le parole ci lavoro: scrivo questa newsletter, faccio il giornalista, ho un podcast. Ecco perché trovo molto affascinante – fino ad avvicinarsi alla sega mentale, me ne rendo conto – questo aspetto del settore: parliamo di alcune cose senza aver trovato una definizione comunemente accettata di cosa sono.

Perciò, se dico a una persona che un gioco è una rimasterizzazione, non so bene se questa persona intenda questo processo come lo intendo io; e se parlo di videogioco indipendente, apriti cielo: perché qua la questione è ancora più ampia e se cercassi in giro, troverei una persona che sostiene ogni punto di vista della questione.

Non sono impazzito: giusto la scorsa settimana ho scritto di come l’abitudine di incasellare i videogiochi, cosa sono e cosa fanno in specifiche categorie è una posizione che, tutto sommato, vale quanto vale, visto che niente è così immutabile, da queste parti, nemmeno Super Mario Bros.

Ma spesso io rifletto sulle modalità in cui parliamo di videogiochi con l’idea di discuterne di fronte alle persone che il settore non lo seguono.

E se non serve capire cosa caratterizza Super Mario Bros – tornando all’idea della sega mentale, peraltro – per far avvicinare un’altra persona al videogioco, ho l’impressione che sempre di più ci stiamo addentrando, e usando ampiamente, un linguaggio che a volte capiamo solo noi; e altre volte, nei casi peggiori, nemmeno noi capiamo appieno.

D’altronde quello dei videogiochi è anche quel settore che si inventa nuovi generi ogni anno oppure incrocia generi preesistenti. Come se già non ci fossero mille strati di definizioni e discussioni da tenere da conto.

La cosa che mi conforta è che sempre di più se ne sta parlando e quindi siamo, forse, un po’ più vicini a capirci qualcosa di quanto lo eravamo ieri.