L’IA sta trasformando il lavoro dei traduttori di videogiochi. Non in meglio

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Uno degli ambiti, nel mondo dei videogiochi, in cui l’adozione crescente di sistemi basati sull’Intelligenza Artificiale sta già avendo un impatto evidente è quello della localizzazione dei videogiochi.

Parlando di modelli di Intelligenza Artificiale, includo anche a quelli che vengono chiamati modelli di linguaggio di grandi dimensioni, come ChatGPT di OpenAI, che oggi è sicuramente il più rilevante al mondo: quei sistemi che sono stati addestrati da tantissimi dati (documenti, libri, pagine web) per poter fornire risposte statisticamente rilevanti alle richieste testuali degli utenti.

Nell’ambito della localizzazione l’uso di sistemi basati sull’IA sta ottenendo esattamente ciò che i detrattori temono: sta rovinando il lavoro e riducendo gli stipendi.

“La situazione sta per peggiorare”

Se sistemi di questo tipo sono stati promossi – e continuano a essere promossi – come la via ideale per sbrigare in modo più veloce e più efficace i lavori noiosi e ripetitivi, ciò che invece sta accadendo è l’opposto: vengono generate traduzioni fatte male o mezze monche a cui comunque dev’essere una persona a porre rimedio; che però è pagata peggio.

Il 15 agosto scorso la traduttrice freelance Lucile Danilov ha pubblicato su X (ex Twitter) un manifesto in cui esprimeva le richieste e le perplessità della comunità della localizzazione nei videogiochi.

“In modo simile ad attori, doppiatori e illustratori, ci è stato spesso detto che l’IA è ‘solo uno strumento’ e che è stato pensato per assisterci e non rimpiazzarci”, ha scritto. “Eppure, questa asserzione contraddice l’esistenza di una categoria di tariffe per l’MTPE – una categoria che nemmeno dovrebbe esistere tanto per cominciare”.

Con “MTPE” si intende il lavoro di rielaborazione e correzione (post-editing, PE) di un testo generato da un sistema automatico (machine translation, MT).

Ma il suo utilizzo sta creando solo grattacapi.

“Otteniamo una versione ‘massacrata’ di ciò che si considererebbe una traduzione corretta e sebbene si abbia il prodotto in un’altra lingua, l’esperienza risulta distante in termini di narrazione”, spiega a Insert Coin il traduttore argentino Guido Di Carlo. “A causa delle società che cercano in tutti i modi di ridurre i costi, il pubblico è già stato esposto per molto tempo a traduzioni di scarsa qualità nei sottotitoli e nei doppiaggi cinematografici, nella localizzazione dei videogiochi e nelle opere letterarie. Ora la situazione sta per peggiorare”.

L’utilizzo di sistemi di Intelligenza Artificiale nella localizzazione dei videogiochi sta venendo spinto soprattutto dalle aziende più grandi: le stesse che, poiché detengono una quota considerevole del mercato, possono imporre ai traduttori freelance condizioni spesso inadeguate e talvolta svilenti, come ho già scritto in passato.

È una decisione presa per ottimizzare i costi, ossia mantenere stabili (o meglio ancora: aumentare) i ricavi riducendo la spesa per ottenere il risultato che serve per soddisfare il cliente.

“Azionisti, direttori tecnologici, amministratori delegati, direttori finanziari, ingegneri, venditori di olio di serpente…tutti hanno un ruolo in questa questione, tranne i traduttori”, osserva Di Carlo.

Lavori peggio, pagato peggio

La questione è duplice.

Da una parte c’è un lavoro raddoppiato: chi deve occuparsi della traduzione deve rielaborare un testo che è stato realizzato male, finendo, così, per lavorare peggio.

Dall’altra parte questo tipo di ingaggio viene pagato meno, poiché l’azienda lo ritiene un lavoro di revisione e non una traduzione completa.

Insomma: nei casi in cui viene usato un sistema automatico, si lavora peggio di prima e si viene pagati meno di prima.

Il lavoro di traduzione viene pagato a parola. Poiché sono progetti che richiedono la traduzione di migliaia di parole, non deve sorprendere che il costo per singola parola sia di pochi centesimi di euro.

Nel caso del post editing la differenza può essere, quindi, di pochi millesimi di euro rispetto alla tariffa standard applicata dalle agenzie; ma quei millesimi di euro possono diventare centinaia di euro in meno al termine del progetto. Nonostante la persona di turno abbia lavorato peggio.

“Mi ritrovo a fare lo stesso lavoro, ma con modalità più fastidiose perché davanti a me ho un testo inutile, che è solo un ostacolo: o lo ignoro completamente, quindi faccio il lavoro di prima ma pagato meno; o lo devo modificare, ma a quel punto non è una revisione”, racconta Gabriele Lazzari, traduttore freelance.

Inoltre c’è un secondo aspetto. Le agenzie ritengono i sistemi basati sull’IA un ottimo modo per rendere più efficienti i progetti; perciò si aspettano che le traduzioni siano anche più veloci e chiedono tempistiche più stringenti, anche di pochi giorni. Ma lavorare su un testo malconcio come quello generato in automatico non fa altro che complicare la revisione.

“L’output della macchina nove volte su dieci è spazzatura”, va avanti Lazzari. D’altronde la macchina, per esempio, non riesce a distinguere come tradurre “you” in italiano: è singolare o è plurale? “L’IA prova a indovinare e sbaglia”.

Nei casi in cui il testo originale è standardizzato, magari perché c’è di mezzo il “legalese” dei termini e delle condizioni, allora un sistema automatico è utile. “Ma quando si esce dal seminato o c’è un testo un pelo più complesso l’IA va nel pallone”, prosegue.

Un esempio è capitato quando Lazzari ha lavorato a un videogioco mobile per cui era previsto un testo generato dall’IA. Se per traduzioni standard, come per i menu, in tanti casi il testo era funzionale, quando il cliente ha scelto di usare l’IA anche per i dialoghi i risultati sono stati “orripilanti”; al punto che sia Lazzari sia altre persone hanno scelto di lamentarsi del lavoro e di com’è stato gestito.

“Erano tremila parole solo di dialoghi, ma erano inutilizzabili: e siamo stati pagati meno rispetto alla tariffa standard per una traduzione”, ricorda.

La prospettiva più ampia

Ci sono poi altre questioni.

Per esempio, talvolta le agenzie non sono trasparenti nemmeno con i clienti e non comunicano di aver usato un sistema automatico, o un processo semi-automatico, per tradurre i testi.

A volte, invece, sono i clienti stessi che già usano un software proprietario basato sull’Intelligenza Artificiale; perciò ingaggiano le agenzie di localizzazione per operazioni di post editing e non per una traduzione completa. Ciò può riguardare i testi in un videogioco o sul sito web del cliente.

Da quanto ho appreso due società che hanno usato, per almeno uno dei loro progetti, un sistema automatico e chiedono, quindi, alle agenzie il lavoro di post editing sono Electronic Arts e Ubisoft.

Inoltre esiste sempre il problema di come questi sistemi automatici siano stati addestrati. Leggasi: se i dati e i documenti usati abbiano violato o meno il diritto d’autore.

“Ho costruito il mio business su solide fondamenta etiche e di trasparenza e ciò contraddice ogni cosa per cui mi batto”, dice Danilov a Insert Coin. “L’industria dei videogiochi è già alle prese con costanti ondate di licenziamenti, una cultura del crunch e salari bassi. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è una nuova ondata di venture capitalist che si approfittano del lavoro di artisti talentuosi, scrittori, musicisti e traduttori per vendere prodotti riciclati attraverso algoritmi”.

Chi lavora nella localizzazione si trova quindi di fronte a due scelte: sottostare agli ingaggi che prevedono il post-editing di un testo elaborato da un sistema automatico o dire no.

“Io questi lavori non li faccio, ogni volta che mi è stato proposto ho risposto di no; ma ho una stabilità tale di clienti che me lo posso permettere”, dice Beatrice Ceruti, traduttrice freelance. “La maggior parte delle persone che lavorano con il post editing sta iniziando ora con la traduzione nei videogiochi: le aziende cercano di infilare le nuove leve in questa fetta di mercato mettendole alle strette”.

“Stiamo anche notando che queste agenzie stanno avendo difficoltà a coinvolgere traduttori esperti nell’uso della traduzione automatica, e quindi devono modificare questo contenuto già di scarsa qualità con traduttori meno esperti”, concorda Di Carlo. “Il risultato? La traduzione automatica produce un contenuto di bassa qualità che viene modificato da persone che non sono realmente preparate a individuare e correggere alcuni dei problemi più fondamentali, alimentando a sua volta la traduzione automatica con ulteriore contenuto scadente”.

C’è poi un ulteriore aspetto, che non va sottovalutato. Poiché i sistemi basati sull’apprendimento automatico sono imperfetti, ogni qualvolta una persona rielabora un testo generato in automatico sta di fatto contribuendo a migliorare quel sistema; un sistema pensato per sostituire in toto o in parte il lavoro delle persone nella localizzazione.

“Stiamo aiutando a creare un tool che, nell’ottica delle agenzie, servirà a sostituirci”, sottolinea Ceruti. “E in cambio non abbiamo niente se non una tariffa misera: non otteniamo delle percentuali [sui guadagni] e non possiamo neanche affidarci a macchine ‘nostre’ se volessimo affinare questo tool”.

Si torna a un grosso punto quando si parla di localizzazione.

Per quanto sia centrale nel diffondere maggiormente un videogioco nel mondo – perché lo rende più accessibile – si tratta di una fase che spesso è considerata una scocciatura da parte dell’editore o dello sviluppatore; quindi prima viene fatta, magari spendendo il meno possibile, e meglio è.

Nel contesto della maggiore diffusione dei sistemi basati sull’IA significa che molte persone “non hanno presente cosa significhi la differenza fra avere una traduzione da una macchina o da un umano e nemmeno se ne interessano”, secondo Ceruti.

Se oggi gli strumenti basati sull’IA sono malvisti, c’è ancora speranza che si possa arrivare a quell’intersezione auspicata: che oggi le aziende promuovono internamente, ma ancora non c’è.

“Ciò che vorremmo fare è poter scegliere quando utilizzare la traduzione automatica – per esempio, per contenuti molto tecnici o ripetitivi – mantenendo la libertà di disattivarla completamente in altre sezioni più creative”, sostiene Di Carlo. “E naturalmente, non vedere calpestati i nostri diritti più fondamentali”.