Una domanda si è seduta nella mia testa da qualche settimana, forse qualche mese: l’attuale situazione dell’industria e dei videogiochi ce la siamo trovata per un insieme di fattori in parte incontrollabili o è il risultato di ciò che è stato fatto per anni? Il vecchio problema dell’uovo e della gallina: cos’è venuto prima?
In risposta a un utente su X, ex Twitter, Katsuhiro Harada, producer di Tekken 8, ha parlato dei costi di sviluppo in aumento: è per questo che in Tekken 8 c’è un negozio interno dove acquistare costumi e altri accessori virtuali. Harada ha sottolineato che “i costi di sviluppo sono dieci volte più alti di quelli degli anni 90 e più del doppio o del triplo del costo di Tekken 7”, che è uscito nel 2015.
“Oggi, tante persone vogliono che il gioco funzioni e venga supportato per molto tempo”, è andato avanti Harada. “Costa denaro aggiornare continuamente il gioco. Comunque, lui (si riferisce all’utente a cui stava rispondendo, ndr) probabilmente ha dei bei ricordi dei vecchi giochi che ha giocato quando era piccolo e non presta attenzione ai tempi che sono cambiati e ai costi che sono aumentati. La situazione economica e tutto il resto stanno cambiando. Se non facciamo niente come lui suggerisce, il gioco semplicemente smetterebbe di funzionare nel giro di pochi mesi”.
Quando è stato deciso che qualunque tipo di videogioco, anche un picchiaduro, dovesse essere costantemente aggiornato, sempre arricchito di contenuti? In questo modo è evidente che si crea un circolo vizioso: bisogna continuare a lavorare su un videogioco a lungo, i costi aumentano e serve introdurre metodi, come le microtransazioni, per finanziare quell’allungamento della produzione. Un motore che si alimenta soltanto chiedendo più soldi alle persone che già hanno speso 70-80 euro per comprare la versione iniziale.
Anzi, oggi l’aspettativa di un supporto esteso sempre e comunque è talmente integrata che quando viene comunicato che non ci saranno ulteriori contenuti, com’è stato nei giorni scorsi per Crash Team Rumble, allora ciò viene inteso come un segno indelebile di un videogioco che smetterà di “funzionare”, tornando alle parole di Harada. Come se un gioco non più in espansione non potesse più fornire ore interessanti.
Così torniamo al punto uno, alla mia domanda iniziale: è nata prima questa aspettativa da parte del pubblico e quindi le aziende si sono trovate forzate a escogitare nuove modalità di monetizzazione; oppure le aziende hanno imposto un nuovo modello e ora si sono incastrate dentro a una ruota dove o corri o si ferma tutto? Non come un’opportunità di monetizzare maggiormente, bensì come unico modo per non affossare tutto.
Forse la risposta a questa domanda non vale molto perché non sono sicuro che si possa tornare indietro. A volte però ho l’impressione che sia un modello che, tutto sommato, non piace nemmeno agli sviluppatori, ma che non sappiano cos’altro fare.