C’è una cosa che è sotto gli occhi di chiunque, ma viene trattata poco. Cioè come i moderni sistemi di distribuzione stiano cambiando – anzi, abbiano già cambiato parecchio – i modi in cui le aziende di videogiochi comunicano i risultati dei loro prodotti.
In altre parole: cosa dicono (e come) quando devono annunciare determinati risultati commerciali.
Un tempo – sono diventato la persona che dice le cose iniziando con “un tempo era così”, vabbè – il numero di copie vendute ci dava un’informazione molto chiara sia del risultato ottenuto sia di cosa significava: oggi è più complicato.
Quando, nei primi anni 2000 per esempio, un produttore annunciava che il suo ultimo videogioco aveva venduto due milioni di copie, sapevamo che due milioni di persone, in momenti diversi, avevano scelto di entrare in un negozio e di pagare una copia di quel videogioco lì.
Insomma, l’interesse – così come l’atto stesso dell’acquisto – era talmente evidente e talmente trasparente che c’era poco altro da aggiungere.
Magari si poteva ragionare su come quel risultato lì, quei due milioni lì, fossero rilevanti; o se fossero più o meno del videogioco venuto prima o di quello del concorrente; ma quei due milioni erano chiari, ripeto.
Oggi è un po’ diverso.
Perché, per esempio, su PC c’è la possibilità di usufruire di un periodo di accesso anticipato ai giochi: che per anni magari costano una certa cifra e poi dopo escono in versione completata per davvero e a una cifra diversa. O, sempre su PC, i fine settimana di accesso gratuito. Oppure esistono gli abbonamenti, da Game Pass di Xbox a PlayStation Plus di Sony, in cui i giochi ci finiscono in un certo momento della loro presenza sul mercato, magari già dal lancio.
Fatta questa premessa – doverosa o no non lo so, ma mi sembrava il caso di farla – arriviamo al fatto di attualità.
L’8 settembre scorso Bethesda ha comunicato che Starfield ha raggiunto sei milioni di persone; e che, alla luce di questo risultato, è il miglior lancio di sempre di Bethesda. Il che è una grande cosa se consideriamo che dal 2002 i videogiochi di Bethesda, divisi fra The Elder Scrolls e Fallout, vengono molto attesi dal mercato e dai videogiocatori.
Però, ecco, c’è il fatto che Starfield è nel Game Pass; perciò, le persone non hanno dovuto fare per forza un investimento espressamente dedicato a Starfield per poterlo giocare. Qualcuno lo avrà anche comprato normalmente; ma molta della campagna di comunicazione di Bethesda e di Microsoft, di cui Zenimax (la casa madre di Bethesda) fa parte dal 2020, si è soffermata sulla presenza di Starfield su Game Pass. E magari tante persone si sono iscritte al servizio proprio perché dentro c’era Starfield: non possiamo saperlo. Possiamo intuirlo, darlo anche per scontato: ma non ne avremo mai la conferma, ecco.
Ma resta il fatto che quelle sei milioni di persone, mi chiedo, chi sono? Hanno solo scaricato il gioco? C’è un numero minimo di ore per essere aggiunti al mucchio? Oppure basta che si arrivi al menu principale di Starfield per essere conteggiati?
E anche se tutte e queste sei milioni di persone avessero scelto di iscriversi a Game Pass proprio perché c’era Starfield; e tutte queste persone avessero passato già, ciascuna, decine di ore di gioco; tutte queste persone, dicevo, hanno lo stesso peso di sei milioni di persone che invece hanno pagato un videogioco a prezzo pieno?
Io arriverei anche a dirti che secondo me no, non è la stessa cosa. Ma qui probabilmente potremmo divergere e sembrerebbe che ce l’ho, in qualche modo, con Starfield – spoiler: non è così, neanche l’ho giocato; è stato soltanto lo spunto dell’attualità.
Oggi le aziende hanno tanti modi di comunicare i loro traguardi commerciali e di trovare proprio quello giusto tale per cui il nuovo videogioco è il migliore di sempre; il più voluto in assoluto; il più cercato fra il lunedì e il mercoledì delle ultime quattro settimane. Ho fatto lo scemo, con quest’ultima frase, ma ci siamo capiti: con la diversificazione e la stratificazione della distribuzione è arrivata anche quest’altra opportunità di richiamo, di avvalorare la propria produzione; talvolta – anche se non è stato il caso di Starfield – facendo dei salti mortali per identificare lo spazio ideale in cui inserire l’annuncio e farlo risaltare di più.
Per le aziende, insomma, è una gran cosa. Da parte nostra, invece, è diventato un po’ più oscuro capirci di più.
Massimiliano
Già dal titolo Monopoly Go (prodotto da Scopely) può apparire come il classico videogioco mobile che molte delle persone che leggono questa newsletter neanche considererebbero. Io, invece, l’ho intercettato subito e per un motivo molto banale.
Quando è stato lanciato ad aprile su mobile c’erano diverse pubblicità piazzate soprattutto su Facebook e su Instagram; una di queste ha incrociato la mia compagna: che da quel momento su Monopoly Go, diventato un’abitudine quotidiana, ha speso almeno un’ora al giorno. Ora è settembre. Fate voi i conti.