Questa settimana sarà ricordata come il momento in cui il mondo dei videogiochi ha conosciuto per davvero la finanza. Per farla breve, le azioni di GameStop hanno registrato una crescita incredibile: non perché la società abbia improvvisamente cambiato rotta, bensì perché un gruppo di investitori si è coordinato su Reddit per battere gli short seller dei fondi speculativi al loro stesso gioco. Non approfondirò il tema finanziario: non mi compete e se vuoi saperne di più, meglio leggere qui o qui. A me interessa parlare di altro.
Il fatto che GameStop fosse al centro del mercato ribassista dei fondi (che cioè guadagnano dalle azioni che stanno perdendo valore: lo so, sembra strano, ma è così) è indicativo di una cosa: nessuno crede più che la società possa effettivamente risollevarsi. Nulla di sorprendente, sia chiaro: in un settore, quello videoludico, che ormai è fortemente digitale, un negozio che vende prodotti fisici non ha futuro (chiedete a Blockbuster). Nel 2019, per esempio, GameStop ha perso 795 milioni di dollari; ha dovuto licenziare molti dipendenti e chiudere tanti negozi. A novembre 2020 l’ingresso di un nuovo azionista, che sembra credere che la società possa effettivamente ribaltare le sue fortune investendo nel digitale, ha dato un po’ di fiducia; ma sembra soltanto la luce di una candela in una stanza ormai troppo buia.
Nel 2019 negli Stati Uniti i giochi in formato fisico hanno rappresentato il 17% del mercato. Nello stesso periodo in Italia solo il 21% dei giochi venduti è stato fisico, secondo i dati di IIDEA, l’associazione di categoria. Nel 2020 è presumibile che tale percentuale sia ancora più bassa: per una questione fisiologica e perché la pandemia ha portato a lunghi periodo di isolamento e ha spinto tante persone ad acquistare online o direttamente in digitale. I dati saranno diffusi nei prossimi mesi.
GameStop sta tentando varie strade per risanare i suoi conti abbassando i costi operativi (chiudendo negozi, puntando sul commercio elettronico e licenziando persone) e puntando sull’organizzazione dei tornei di esport. Ma sembra troppo poco e troppo tardi per una reale inversione di marcia.
CHI HA DETTO GIOCHI GRATIS?
Nel 2020 è cresciuta la base di utenti iscritti all’Epic Games Store, ma i ricavi del negozio sono rimasti perlopiù uguali rispetto all’anno precedente: ciò significa che tante persone hanno installato il software solo per giocare ai titoli online gratuiti (come Fortnite e Rocket League) oppure per avere i giochi temporaneamente offerti gratuitamente. Nel 2019 il negozio aveva generato ricavi per 680 milioni di dollari; nonostante nel 2020 gli utenti attivi siano fortemente cresciuti (+52 milioni), i ricavi sono saliti di appena 20 milioni di dollari. Immaginando che coloro che hanno speso nel 2019 abbiano speso la stessa cifra nel 2020, significa che i nuovi utenti hanno speso mediamente 0,38 euro: pochissimo. Tali cifre sono ancora più evidenti se si pensa che la pandemia ha costretto molte persone a casa e ha spinto le vendite dei videogiochi a crescere in doppia cifra su base annua: l’incapacità di Epic Games di convertire i nuovi utenti, quindi, è ancora più rumorosa.
Ci sono due interpretazioni che posso dare a questi dati:
– Epic Games Store ha regalato molti giochi fin da quando è stato fondato. Questa iniziativa ha sicuramente pubblicizzato molto il negozio digitale; ma gli ha anche appiccicato l’etichetta del “negozio che regala giochi”: con la conseguenza che molti di coloro chi si iscrivono lo fanno solamente per scaricare un gioco gratuito (nel 2020 è stato regalato GTA 5, per esempio), ma poi non spendono.
– Nonostante l’investimento, a oggi l’Epic Games Store resta fortemente legato ad alcuni giochi online, in primis Fortnite. I soldi spesi sui giochi di terze parti (quindi non prodotti da Epic Games) sono infatti circa il 37% del totale.
Regalare giochi può essere quindi un’esca importante; ma può anche diventare un’arma a doppio taglio perché svaluta il valore percepito di tale negozio.
LE NOTIZIE DATE MALE
Nei giorni scorsi si è diffusa la notizia che Konami dismetterà tre sue divisioni videoludiche dal 1 febbraio. Tale notizia è stata interpretata come l’annuncio della cessazione dello sviluppo e della produzione di giochi da parte della società, che detiene importanti proprietà intellettuali come Metal Gear, Silent Hill, Pro Evolution Soccer e Castlevania (1, 2, 3). L’interpretazione si è rivelata un grosso errore: alcune ore dopo la società ha divulgato una nota con la posizione ufficiale – il cosiddetto “statement” – per smentire tali ricostruzioni. Konami ha poi spiegato a IGN che le tre Production Division che saranno dismesse supervisionavano l’effettivo sviluppo dei giochi, che avviene concretamente all’interno dei Production Departments, che invece restano al loro posto: dal 1 febbraio, i dipartimenti riferiranno direttamente alla dirigenza.