Va dato credito a Ubisoft di non avere mai paura di provare le nuove tecnologie: ha sempre supportato fin da subito tutte le console (compreso Wii U); ha lanciato un canale dedicato su Amazon Luna (servizio di cloud gaming) per i suoi giochi e Assassin’s Creed Odyssey è stato uno dei primi giochi per Google Stadia. Ora ci sta provando con gli NFT (token non fungibili) in Ghost Recon Breakpoint.
Difficile dire come andrà. Siamo ai livelli di quando Bethesda nel 2006 ha lanciato l’armatura per il cavallo di The Elder Scrolls 4: Oblivion venduta a più di 2 euro: agli inizi di qualcosa che ora viene recepito molto malamente (le reazioni all’annuncio di Ubisoft si possono riassumere in: “WTF!”).
Oggi però i contenuti aggiuntivi a pagamento non solo sono frequenti, ma sono essenziali nei progetti di tante produzioni, cioè vengono considerate come un elemento centrale per rientrare nei costi di sviluppo e guadagnare.
Altrettanto malignamente erano considerati i primi giochi free to play, relegati a giochini scrausi e acchiappasoldi: eppure oggi i giochi gratis (Fortnite, Roblox, League of Legends, etc) sono i più giocati al mondo.
Ancora una volta sarà il mercato (cioè gli utenti a conti fatti) a stabilire se gli NFT sono o non sono una buona idea.
A oggi possiamo dire una cosa e questa cosa è certa: gli NFT sono già qualcosa. Qualcosa che le aziende stanno considerando per i propri giochi; qualcosa su cui molte società stanno investendo milioni di dollari; qualcosa che fa discutere (per l’impatto ambientale della blockchain basata sul protocollo “proof of work” e per l’utilità a livello di game design, per esempio).
Sono un qualcosa di cui si deve parlare: perché potrebbe essere un possibile sviluppo dell’industria.