Non capita spesso di avere lo stesso giorno un Nintendo Direct e uno State of Play. Anzi, a memoria non mi pare che sia mai successo negli ultimi anni.
Tale occasione ci permette di confrontare le strategie comunicative di Sony e di Nintendo e soprattutto di fare alcune considerazioni sullo stato commerciale in cui si trovano le rispettive console, PlayStation 5 da un lato e Switch dall’altro.
L’elemento più differenziante è presto detto: mentre Switch sta per compiere sei anni (a marzo 2023), PlayStation 5 si avvicina a compiere due anni (novembre). Due situazioni molto diverse: Switch è nella fase finale del suo ciclo vitale (come si può evincere dal fatto che l’anno prossimo avremo un nuovo gioco di The Legend of Zelda); PlayStation 5, invece, è all’inizio.
In altre parole, Switch deve sparare le ultime cartucce; PlayStation 5 ha ancora tanto da dimostrare (e lo stesso vale per Xbox Series X|S, francamente: ma Microsoft è un discorso separato).
Già questo ci dà un contesto più ampio in cui inserire gli annunci del Nintendo Direct e dello State of Play.
Il titolo ufficiale del nuovo Zelda e Pikmin 4
Nel primo caso, Nintendo ha confermato l’uscita nel 2022 di Bayonetta 3 e Mario + Rabbids: Sparks of Hope (prodotto da Ubisoft in esclusiva per Switch) e che nel 2023 vedremo The Legend of Zelda: Tears of Kingdom (il titolo ufficiale del seguito di Breath of the Wild, pubblicato nel 2017); un rifacimento di Kirby’s Adventure Wii; Kirby’s Return to Dream Land Deluxe; Fire Emblem Engage e Pikmin 4.
Su quest’ultimo vale la pena soffermarsi su un fatto: pensavo che Nintendo avesse capito la lezione di Metroid Prime 4 – mostrato con un logo per cavalcare l’eccitazione degli appassionati e poi sparito nel nulla – e invece Shigeru Miyamoto ha solo detto che Pikmin 4 è in sviluppo e che si potrà giocare anche dalla prospettiva dei Pikmin. Per un gioco che arriva nel 2023 è decisamente poco e non abbastanza per avere fiducia che sarà pubblicato per davvero nel 2023.
Anche la presentazione di The Legend of Zelda: Tears of Kingdom, in sviluppo da anni e in arrivo fra otto mesi, è stata insufficiente; ma Nintendo segue ormai rigidamente il suo schema di annunci e in futuro ci sarà probabilmente un Direct dedicato esclusivamente al prossimo gioco di The Legend of Zelda.
In generale, Nintendo si trova in una posizione facile: ha mostrato una grande quantità di giochi (nonostante probabilmente troppi siano stati simulazioni di fattorie o rifacimenti/rimasterizzazioni); e ha confermato alcune sue uscite rilevanti appartenenti a grandi serie (Zelda, Kirby, Fire Emblem e Pikmin).
Durante il Nintendo Direct ho contato oltre 40 giochi: e qui, forse, sta il principale problema del Nintendo Direct dei giorni scorsi.
Nella volontà di puntare sulla percezione che su Switch ci sarà parecchio di cui fruire, sono stati inclusi troppi contenuti con il rischio che alcuni giochi legittimamente interessanti, come Ib, possano finire dimenticati nello stesso tempo che è stato riservato loro durante il Direct.
Ultima cosa: con il debutto di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom il 12 maggio 2023 – che tendenzialmente segna la fase ultima del ciclo vitale delle console casalinghe di Nintendo – ci stiamo avvicinando al momento in cui Nintendo dovrà dirci che vorrà fare dopo Switch; che però viene gestita soprattutto come console portatile (e quelle Nintendo tendono ad avere una vita più lunga delle console casalinghe). Insomma, sarà interessante analizzare i movimenti di Nintendo in tal senso nei prossimi mesi.
Per Sony, è un’altra storia.
Cosa tirare fuori dallo State of Play
Le notizie principali dello State of Play sono state:
- Tekken 8, che sarà multipiattaforma;
- il trailer (per quanto bello) di un gioco che uscirà a breve, cioè God of War Ragnarok;
- il rifacimento di un gioco precedentemente uscito solo in Giappone (Like a Dragon: Ishin), anch’esso multipiattaforma;
- il debutto nel 2024 di un nuovo gioco di Team Ninja (Rise of the Ronin), che arriverà anche su PC;
- il titolo definitivo di Project Eve (ora noto come Stellar Blade), che al di là di qualche scena di azione è ancora presto per giudicare.
In qualunque altro momento lo definirei uno State of Play modesto e passerei oltre; ma PlayStation 5 è al secondo anno di vita e ha tanto da dimostrare. Ritenere che questa situazione sia figlia del momento del ciclo vitale della console, inoltre, è fuorviante.
Per fare un paragone con il secondo anno di vita di PlayStation 4, nel 2015 Sony ha pubblicato: The Order 1886, Bloodborne, Journey, God of War 3 Remastered, Beyond Two Souls, The Last of Us: Left Behind. E all’E3 del 2015 furono annunciati Dreams e Final Fantasy 7 Remake; Uncharted 4 e The Last Guardian erano a un anno di distanza e Guerrilla Games annunciava al mondo Horizon Zero Dawn.
Insomma: nel secondo anno, PlayStation 4 era molto più viva di quanto lo sia oggi PlayStation 5.
Prima di continuare, è bene evidenziare un’altra cosa: ci sono una serie di differenze consistenti fra il mercato dei videogiochi del 2015 e quello del 2022.
Nel 2015 non c’era ancora Fortnite, che avrebbe debuttato due anni dopo e ce ne sarebbero voluti altrettanti prima di generare la moda dei battle royale come la conosciamo oggi, che ha consolidato la tendenza dei “giochi come servizio” presenti su molte piattaforme.
Nel 2015 non c’era nemmeno Game Pass; anzi, Xbox stava vivendo un momento di grossa difficoltà creativa e produttiva e solo un anno prima Phil Spencer era stato nominato principale referente per Xbox.
In generale, gli abbonamenti a là Netflix nei videogiochi continuavano a essere qualcosa di chiacchierato e non ancora applicato. Mentre Nintendo stava cercando di capire come far morire Wii U in santa pace ma il prima possibile.
Nel 2015 sviluppare in esclusiva per console continuava a essere una mossa di marketing incrollabile e Sony di pubblicare i suoi giochi altrove nemmeno ci pensava.
Insomma: nonostante il breve periodo, era un altro mercato con logiche produttive e strategiche diverse.
Quanto vediamo oggi è colpa della pandemia e dell’impatto che ha avuto sulle modalità di lavoro? Forse.
Il riposizionamento strategico di Sony – più mobile e PC – ha influenzato la programmazione, che è ancora in fase di assestamento? Forse.
Sony deve ancora prendere confidenza con gli State of Play? Forse.
Se non ci fosse stata la crisi dei chip e la conseguente difficoltà a comprare PS5, le cose sarebbero diverse? Forse.
Sony si trova in una posizione che Microsoft conosce bene: sta cambiando strategia, sta riposizionando le sue proprietà, ma non sta riuscendo a comunicarlo bene ai consumatori. Sempre che un modo per comunicare bene questa situazione esista perché significa non mantenere vecchie promesse (giochi in esclusiva); aprire le porte a un pubblico nuovo (mobile e PC), il che genera sempre malumore perché una quota di pubblico è portata a credere che ciò snaturerà, in futuro, il lavoro degli sviluppatori; trovarsi in certi momenti – e in questo senso l’ultimo State of Play – ad avere poco da mostrare e di cui parlare.
Certo, si potrebbe anche pensare il contrario: se i cattivi anni di Sony sono quelli di Horizon Forbidden West, Gran Turismo 7, il remake di The Last of Us e God of War Ragnarok (si giudicherà quando sarà pronto; ma resta un’uscita di grande rilevanza per Sony), be’, chissà quelli buoni.