L’intero settore giornalistico ha sempre fatto grande affidamento sulle “voci di corridoio” o le “indiscrezioni di palazzo” per poter scrivere la cronaca politica, economica e, più di recente, tecnologica in mancanza di riferimenti ufficiali.
Il fatto stesso che una certa discussione sia avvenuta in un governo o in una società privata, anche se poi tale discussione non ha generato una decisione ufficiale, può essere di interesse pubblico: perché parla di una eventuale trasformazione di un settore; di una nuova sensibilità; persino di decisioni impopolari che sono state valutate e poi scartate e che quindi danno una misura di ciò che potrebbe essere disposto a fare chi dirige, chi governa e chi, in sostanza, decide.
L’utilizzo delle indiscrezioni, perciò, è nella natura stessa del giornalismo; fa parte da sempre del settore, che usa le fonti come strumento per arrivare un po’ più in là delle informazioni pubblicamente accessibili. Anzi, in molti casi è stato proprio grazie alle informazioni di fonti anonime che è stato fatto del giornalismo: quello vero, che svela verità scomode.
La gestione delle fonti è complessa e delicata: vengono consolidate nell’arco di anni e con cautela; devono essere verificate; vanno accudite e persino protette perché chi rivela informazioni non ufficiali rischia il posto di lavoro o anche una causa legale.
Non tutte le fonti sono buone; non tutti coloro che scrivono hanno delle fonti; non tutti coloro che scrivono basandosi sulle fonti rivelano cose giuste.
Nell’ultimo periodo, l’affidamento alle indiscrezioni indirette (cioè originate da un’altra testata o da una singola persona) è diventato un pretesto per non essere cauti; per non fare attenzione a cosa viene detto e quando; per non riconoscere cos’è importante e cosa non lo è.
Nel settore dei videogiochi, in Italia ma non solo, si fa molto affidamento su quanto viene riferito da persone che hanno una grande visibilità: personalità come Jason Schreier, Jeff Grubb e Cecilia D’Anastasio, i cui commenti sui social vengono frequentemente spacciati per notizie; le cui previsioni vengono coperte senza esitare; le cui parole sono interpretate secondo un imprecisato dovere di cronaca.
È un metodo facile e che in assenza di risorse adeguate, come spesso si ritrova chi scrive di videogiochi e non solo, permette di seguire il filo delle notizie; ma non dà il valore aggiunto che ci si attende – anzi, che è persino doveroso – da chi deve rappresentare un filtro della materia informativa.
Nonostante in passato, per altro, personalità simili abbiano sbagliato in modo eclatante e sia anche stato facilmente dimostrato quanto affidarsi a chi si definisce un “insider” possa essere una trappola.
Non è buona informazione etichettare ogni pensiero come notizia.
Non è buona informazione cambiare bandiera al prossimo tweet di una figura estera che sembra dire il contrario di quanto scritto il giorno prima.
E non è buona informazione non filtrare le notizie che vanno pubblicate: perché se tutto è notizia, allora niente lo è.