Rumor e rumore

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

L’intero settore giornalistico ha sempre fatto grande affidamento sulle “voci di corridoio” o le “indiscrezioni di palazzo” per poter scrivere la cronaca politica, economica e, più di recente, tecnologica in mancanza di riferimenti ufficiali.

Il fatto stesso che una certa discussione sia avvenuta in un governo o in una società privata, anche se poi tale discussione non ha generato una decisione ufficiale, può essere di interesse pubblico: perché parla di una eventuale trasformazione di un settore; di una nuova sensibilità; persino di decisioni impopolari che sono state valutate e poi scartate e che quindi danno una misura di ciò che potrebbe essere disposto a fare chi dirige, chi governa e chi, in sostanza, decide.

L’utilizzo delle indiscrezioni, perciò, è nella natura stessa del giornalismo; fa parte da sempre del settore, che usa le fonti come strumento per arrivare un po’ più in là delle informazioni pubblicamente accessibili. Anzi, in molti casi è stato proprio grazie alle informazioni di fonti anonime che è stato fatto del giornalismo: quello vero, che svela verità scomode.

La gestione delle fonti è complessa e delicata: vengono consolidate nell’arco di anni e con cautela; devono essere verificate; vanno accudite e persino protette perché chi rivela informazioni non ufficiali rischia il posto di lavoro o anche una causa legale.

Non tutte le fonti sono buone; non tutti coloro che scrivono hanno delle fonti; non tutti coloro che scrivono basandosi sulle fonti rivelano cose giuste.

Nell’ultimo periodo, l’affidamento alle indiscrezioni indirette (cioè originate da un’altra testata o da una singola persona) è diventato un pretesto per non essere cauti; per non fare attenzione a cosa viene detto e quando; per non riconoscere cos’è importante e cosa non lo è.

Nel settore dei videogiochi, in Italia ma non solo, si fa molto affidamento su quanto viene riferito da persone che hanno una grande visibilità: personalità come Jason Schreier, Jeff Grubb e Cecilia D’Anastasio, i cui commenti sui social vengono frequentemente spacciati per notizie; le cui previsioni vengono coperte senza esitare; le cui parole sono interpretate secondo un imprecisato dovere di cronaca.

È un metodo facile e che in assenza di risorse adeguate, come spesso si ritrova chi scrive di videogiochi e non solo, permette di seguire il filo delle notizie; ma non dà il valore aggiunto che ci si attende – anzi, che è persino doveroso – da chi deve rappresentare un filtro della materia informativa.

Nonostante in passato, per altro, personalità simili abbiano sbagliato in modo eclatante e sia anche stato facilmente dimostrato quanto affidarsi a chi si definisce un “insider” possa essere una trappola.

Non è buona informazione etichettare ogni pensiero come notizia.

Non è buona informazione cambiare bandiera al prossimo tweet di una figura estera che sembra dire il contrario di quanto scritto il giorno prima.

E non è buona informazione non filtrare le notizie che vanno pubblicate: perché se tutto è notizia, allora niente lo è.

Massimiliano


Epic Games vale sempre di più

Il Gruppo Sony e il fondo di investimento Kirkbi, che possiede il Gruppo Lego, hanno investito due miliardi di dollari in Epic Games (un miliardo ciascuna). Tale investimento valuta Epic Games a 31,5 miliardi di dollari, molto vicina a Electronic Arts (34 miliardi). Ad aprile 2021, in un altro turno di finanziamento che aveva coinvolto il Gruppo Sony, Epic Games era stata valutata 28,7 miliardi.

Entrambe le società avevano già investito in Epic Games, il che significa che già detenevano delle quote nella società, che rimane controllata dal fondatore Tim Sweeney.

Nei giorni precedenti, Lego aveva annunciato che collaborerà con Epic Games per realizzare un metaverso per bambini: l’investimento di Kirkbi è coerente con le intenzioni del gruppo.

In particolare, l’amministratore delegato di Kirkbi, Soren Thorup Sorensen, ha commentato che una porzione degli investimenti della società “è focalizzata sulle tendenze che crediamo impatteranno il mondo del futuro in cui noi e i nostri figli vivremo”.

Il riferimento è al metaverso, obiettivo verso cui Epic Games è molto ben posizionata.

Sebbene si pensi molto a Fornite quando si parla di Epic Games, la società ha uno dei motori grafici più usati al mondo per creare mondi virtuali – l’Unreal Engine ora arrivato alla quinta generazione – e ha ampliato il proprio set di piattaforme quando, nel 2021, ha acquisito Sketchfab e ArtStation, che permettono di comprare e vendere modelli tridimensionali e concept art.

In altre parole, la capacità di facilitare la creazione di mondi connessi condivisi e averne creato uno di successo (Fortnite continua ad aumentare il numero di collaborazioni con il mondo dello spettacolo, della musica e dell’intrattenimento in generale) sono le due ragioni che stanno spingendo la valutazione di Epic Games, anche al di fuori dei videogiochi.

L’Unreal Engine è usato – come anche Unity – anche per le produzioni televisive e cinematografiche.

Commentando l’investimento, il presidente di Sony, Kenichiro Yoshida, ha detto che “siamo fiduciosi che l’esperienza di Epic, fra cui il suo potente motore grafico, combinata con le tecnologie di Sony accelererà i nostri progetti come lo sviluppo di nuove esperienze digitali per i tifosi nello sport e le nostre iniziative di produzioni virtuali”.

I miliardi di dollari che l’Arabia Saudita ha già investito nei videogiochi

L’impegno dell’Arabia Saudita nei videogiochi è cresciuto enormemente nel tentativo di trasformare il Paese in un centro per la produzione di videogiochi e per attirare nuovi talenti. E più in generale, il principe saudita Mohammed Bin Salman sembra interessato alle opportunità di business attorno al videogiochi e agli esport.

Bin Salman è accusato di essere stato il mandante dell’uccisione del giornalista del Washington Post, Jamal Kashoggi, nel 2018.

In generale, l’Arabia Saudita viene spesso criticata per il trattamento discriminante che riserva alle persone omosessuali e transgender. Società come Riot Games e Ubisoft hanno rivisto l’organizzazione di alcuni tornei dopo le aspre polemiche generate dall’annuncio di una collaborazione con realtà saudite.