Analizzare cosa non ha funzionato nei primi resoconti della vicenda che ha coinvolto alcune sale LAN italiane (un post su Facebook di Matteo Lupetti della mattina del 3 maggio ha riassunto bene la situazione) può aiutarci a capire alcuni meccanismi dell’informazione, cosa non funziona e perché.
Il tutto è partito da un video pubblicato sui social da uno degli esercizi commerciali coinvolti: un contenuto di parte, perciò, perché mirava a generare rumore e portare l’attenzione verso di sé e non a raccontare per filo e per segno la vicenda. Non era il suo scopo.
La copertura iniziale, però, si è in gran parte affidata a quanto detto da questa persona; alle sue espressioni, alcune delle quali poi si sono rivelate infondate (come il rischio di organizzare altre fiere di settore), e alla sua posizione.
Ecco il problema: nel momento in cui quel video è stato pubblicato su social network come TikTok, migliaia di persone già lo avevano visto. In quel preciso momento il fatto era diventato qualcosa da coprire nel minor tempo possibile.
La risposta giornalistica però è per sua natura lenta. Perché richiede di verificare in maniera indipendente; perché c’è bisogno, in casi come questo, di accertarsi di avere il quadro della situazione (la normativa sul gioco d’azzardo e sulle sale gioco non è cultura generale, d’altronde); perché serve avere un parere neutrale e non interessato.
In altre parole, per riportare questa notizia nel migliore dei modi fin dall’inizio sarebbe stato necessario: contattare consulenti legali; contattare l’Agenzia Dogane e Monopoli (ADM) per capire, se possibile, i motivi dei sequestri delle apparecchiature; studiare la normativa; valutare la posizione delle licenze d’uso insieme alle case di sviluppo. Il tutto di sabato; quindi, scordati di avere dei commenti e soprattutto di averli tempestivamente.
A quel punto, perciò, è successo quello che è successo: le prime notizie si sono rivelate parziali e fortemente di parte, salvo rari casi, e hanno generato ulteriore confusione. Per altro, la nota di chiarimento dell’ADM è arrivata soltanto lunedì pomeriggio.
La doverosa lentezza del giornalismo non riesce a rispondere alla velocità con cui alcune notizie circolano e con cui le persone, in quel momento, cercano approfondimenti.
Si tratta di un’incomprensione – probabilmente inevitabile – fra la domanda di un’informazione puntuale e l’impossibilità di fornirla in tempi rapidi: perché la cura di una notizia richiede tempo, semplicemente.
Arrivare per primi e arrivarci puntualmente è uno sforzo immane che la maggior parte delle volte nessuno riesce a sostenere. A quel punto è questione di scelte: seguire la corrente – quindi arrivare per primi, ma in modo confuso – o provare a nuotare in direzione opposta.