Scrivere di videogiochi significa parlare a una nicchia: le persone appassionate che in più vogliono anche tenersi aggiornate sul settore.
Scrivere di esport significa parlare a una nicchia ancora più piccola: persone che vogliono conoscere meglio un settore che, nonostante ciò che il marketing delle aziende voglia far intendere, rappresenta un puntino nell’universo videoludico (gli incassi del settore sono stimati in circa un miliardo di dollari contro gli oltre 200 miliardi stimati per l’intero mercato videoludico nel 2022, per intenderci).
Non deve sorprendere, quindi, che il settore dell’informazione sugli esport stia vivendo mesi difficili, come ha raccontato Digiday.
Inven Global ha annunciato la dismissione dello staff che copriva gli esport perché quelle notizie non generavano abbastanza traffico.
A marzo è successa la stessa cosa per il sito Upcomer, che ha licenziato parte del gruppo dedicato alle notizie di esport, fra giornalisti, social media manager e podcaster, per concentrarsi sulla produzione di video.
Il più noto caso di una sezione esport chiusa per una revisione generale dell’organizzazione interna è quella della nota rete sportiva ESPN, il cui staff dedicato agli esport ha smesso di scrivere due anni fa.
Ho chiesto a Francesco Lombardo, firma di articoli di esport per Ultimo Uomo, Corriere dello Sport, Tutto Sport, Everyeye e Esports Mag, di spiegarmi se il giornalismo di esport sia possibile a tempo pieno e cosa caratterizzi oggi il settore.
“Un pubblico c’è, esiste, è interessato, ma il ‘problema’ è che si tratta di un pubblico giovane, moderno, abituato ormai anche ad altre tipologie di contenuti di certo non tradizionali. Le classiche testate sportive continuano a resistere, soprattutto con l’online piuttosto che con il cartaceo, perché le discipline di cui trattano hanno un pubblico molto variegato con una forte componente adulta che è probabilmente abituata ed educata a leggere”.
Uno spostamento dagli articoli (“Leggere significa che non si può fare altrimenti, che non sono permesse altre attività: ogni nostra singola energia va rivolta alla lettura”, dice) ai video è quasi naturale.
“I contenuti multimediali, che siano video o audio, permettono tranquillamente di seguire una notizia, un commento o altro in modo anche passivo, quasi di sottofondo o in background a un’altra attività. Motivo che ha recentemente spinto diverse redazioni esports internazionali a puntare più su contenuti video che sono, inoltre, più facilmente monetizzabili di un articolo scritto.”
“Altro aspetto – continua Francesco – è che il pubblico è ormai abituato a vedere l’affidabilità non tanto in una testata ma in una persona, una figura di cui si fida e che segue volentieri. Potremmo chiamarlo influencer ma la verità è che si tratta di un termine che ormai indica un certo tipo di figura, magari più legato al mondo dei social alla Ferragni o altro. Ma il concetto è molto simile: oggi non si parla di Dot Esports, di Upcomer, di The Esports Insider, di Dexerto; ma si parla di Jacob Wolf, di Pablo Suarez, di Lec Wooloo (pseudonimo ovviamente), di Richard Lewis, di Duncan “Thorin” Shield e molti altri reporter internazionali.”