Analizzare un mercato vasto quanto quello dell’industria videoludica è complesso.
Se la prospettiva è troppo ampia, il rischio è di non riuscire a comprendere le cose più piccole, come il lavoro dei singoli sviluppatori o come giocano le persone.
Se la prospettiva, al contrario, è troppo ristretta, allora il rischio è inverso: le persone potrebbero non riuscire a unire i punti e a comprendere il contesto generalizzato e le tendenze.
Valutare le cose, quindi, è un gioco di prospettive; un continuo movimento – avanti e indietro, più vicini e poi più lontani – nel tentativo di comprendere le tante sfaccettature.
Dietro alle grandi acquisizioni di gennaio ci sono una serie di ragioni finanziarie: l’espansione sul mobile, per esempio, e la necessità di creare tanti contenuti su molte piattaforme. Meglio ancora se quei contenuti sono online e persistenti.
Non bisogna però far passare l’idea che il mondo mobile e i mondi condivisi connessi saranno le uniche priorità dei produttori: perché ci sarà bisogno ancora delle esperienze a giocatore singolo, dei titoli indipendenti e delle avventure a medio budget.
Non spariranno gli sviluppatori indipendenti (nemmeno quelli che fanno giochi più piccoli e davvero culturalmente e commercialmente indipendenti, come quelli che trovi su Itch.io); non spariranno le avventure con una forte connotazione narrativa e non spariranno nemmeno le produzioni prive delle microtransazioni.
Ci saranno tutti, questi videogiochi, in un agglomerato via via più grande perché altrettanto grande (oltre che eterogeneo) è il pubblico a cui tale agglomerato vuole rivolgersi. Ci sarà spazio per tutti.