“È vero che i giornalisti sono corrotti?” Una ragazza mi ha fatto questa domanda quando, giorni fa, sono intervenuto in una scuola di Padova per spiegare come scrivere un articolo di giornale. Sul momento ho riso e ho risposto che se fossimo corrotti, sarebbe tutto più facile.
Tale domanda mi è tornata in mente quando su Twitter mi sono imbattuto in un tweet di Stella Chung, redattrice di IGN: un utente la accusava di essere stata pagata da Microsoft (con regali, per esempio) per parlare bene di Halo Infinite nella sua recensione della modalità multigiocatore.
Ci saranno sempre persone che cercheranno spiegazioni nascoste per ciò che invece nascosto non è: per aspettative, per una propria visione del mondo. Persino per un’esigenza di dover vedere le cose in quello specifico modo.
Le figure che di mestiere fanno giornalismo e informazione hanno un altro compito: difendere la propria imparzialità (non oggettività: quella è un’altra cosa) evitando che venga, in qualche modo, corrosa e crepata da qualunque atteggiamento, anche in buona fede, che possa essere percepito come un legame di qualsiasi tipo con le aziende.
In un settore prodigo di regali, inviti a eventi stampa internazionali (con biglietto aereo e alloggio pagati) e ghiotte anteprime, tale difesa è spesso complessa: perché queste dinamiche sono parte del lavoro e non un “di più” richiesto dal professionista.
Sventolare magliette o gadget ricevuti dalle aziende; selfie con figure del settore; qualunque commento che fuoriesca dalla sfera professionale e rientri in quella personale possono intaccare lo scudo di imparzialità necessario.
Non si tratta di spersonalizzarsi né di dover rinunciare alla propria identità online; ma solo di comprendere che in un ruolo già molto fragile certe dinamiche semplicemente rischiano di essere un boomerang e dare adito a facili allusioni. Perché al giorno d’oggi non serve che qualcosa sia necessariamente vero: basta che tanti ci credano.
Massimiliano
La fatica dello streaming
Io per primo commetto un errore: apro YouTube e mi aspetto che i canali a cui sono iscritto abbiano prodotto un video. Lo stesso vale per Twitch: ci si aspetta che ci si connetta e, quasi per magia, la persona dall’altra parte stia trasmettendo in diretta. Tutto il tempo. Perché Twitch e YouTube sono questo: la versione digitale e per l’intrattenimento dei mini market aperti 24 ore su 24, dove ti aspetti di passare a qualsiasi orario e di trovare il cibo per saziare l’appetito delle 3 e mezza di notte.
Keza MacDonald sul Guardian ha riassunto le grandi difficoltà che incontrano gli streamer e, in particolare, quelli più giovani, attirati come lucciole dalle luci della popolarità e che, perciò, trasmettono per ore in diretta mentre continuano a frequentare la scuola, per esempio.
Fare streaming è la quintessenza dell’economia dei creatori dei contenuti e racchiude tutti gli aspetti negativi del lavoro del libero professionista: se non lavori, non guadagni; allora lavori sempre di più, riducendo lo spazio e il tempo dedicato a tutto il resto. E quando non lavori, perdi iscritti: il meccanismo logorante è evidente.
Se sei giovane, hai un sacco di energia, puoi ancora permetterti di passare le notti senza dormire e non essere uno zombi il giorno successivo; se ti sembra divertente e puoi farlo perché iniziare non prevede costi di iscrizione: ecco, non c’è limite al quanto trasmettere in diretta.
“Giocare ai videogiochi per il pubblico per lavoro può sembrare divertente – e, cavolo, ci sono molti lavori peggiori là fuori – ma è anche una professione ultra-competitiva che attira milioni di aspiranti giovanissimi che hanno energie illimitate e assolutamente nessuna cognizione del bilanciamento fra vita privata e lavoro” scrive MacDonald. Naturalmente, le luci della ribalta illuminano solo pochi, quelli che riescono ad avere un grande successo: i vari Ninja, Pokimane, Shroud, TimTheTatman, etc. “Milioni non guadagnano niente”.
“Quanto stai crescendo, è un continuo sgobbare” ha spiegato Daniel “DanTDM” Middleton, che ha un canale YouTube da 25,7 milioni di iscritti. “Non ci si ferma mai, nessun giorno di permesso, niente festività”.
Ninja non è il più re di Twitch e gli sta bene così
A proposito di Twitch, Tyler “Ninja” Blevins è sicuramente il volto più popolare e il cui successo ha affiancato quello di Twitch negli ultimi anni. Eppure, non è più lo streamer più popolare: le sue dirette vengono seguite da 10-15 mila persone contemporaneamente, laddove precedentemente raggiungeva picchi di 100 mila persone connesse, ha raccontato il Washington Post.
“Nessuno rimane al vertice per sempre, specialmente quando si tratta di streaming in diretta: arriva sempre qualcuno di nuovo e più eccitante” ha detto lo stesso Blevins. “Non ho intenzione di essere più quel tipo di persona. So che non sto più attirando 100.000 spettatori. Non ne ho più il tempo. Ho una moglie e una famiglia”.