Se volessimo dare una misura della distanza che separa l’Italia dei videogiochi, perlomeno quella che i videogiochi li produce, da Paesi vicini come la Francia, che in Europa è un punto di riferimento, ecco, quella misura sarebbero 23 anni.
Perché proprio 23 anni?
Perché nel 1998 la Francia ha introdotto una misura per supportare la produzione di videogiochi nel Paese: il tax credit. Una misura popolare, che in Italia da tempo viene usata per il cinema e che serve a garantire un credito fiscale alle aziende; insomma, per abbassare le spese associate alla produzione e attirare anche investimenti internazionali.
In Italia il tax credit per i videogiochi è stato introdotto nel 2016 con la Legge Cinema, ma ci sono voluti cinque anni prima di avere il decreto attuativo che stabilisse i criteri operativi.
La nota positiva è che nel 2022 la dotazione decisa dal ministero della Cultura è stata triplicata: se nel 2021 erano stati previsti 5 milioni, nel 2022 sono stati stanziati 16 milioni.
Per altro, cinque milioni di euro in più rispetto agli 11 milioni di euro che ci si aspettava, mi ha detto al telefono Thalita Malagò, direttrice generale di Italian Interactive Digital Entertainment Association (IIDEA), che in Italia rappresenta editori, sviluppatori e organizzazioni di esport.
“Sarebbero dovuti essere 11 milioni, ma con il decreto con cui è stata aperta la sessione 2022 sono passati a 16 milioni”, ricorda Malagò. “Anche per noi è stata una sorpresa che vogliamo leggere come un segnale di interesse per il settore”.
Malagò aggiunge che 16 milioni di euro sono “una bella cifra” e che “sono un importo che potenzialmente è in grado di attirare investimenti in produzioni di videogiochi di 64 milioni di euro. È una notizia splendida e va bene così”.
Nel 2021 sono stati erogati 2,1 milioni di euro, una media di 99 mila euro per le produzioni che hanno superato i requisiti che vengono considerati dalla commissione appositamente creata.
L’innalzamento del tax credit è quindi una buona cosa, ma i margini di miglioramento sono ampissimi:
- nel 2021 in Francia, dove il tax credit non è il 25% come in Italia ma è il 30%, sono stati concessi 43 milioni di euro;
- in Irlanda il tax credit è del 32%;
- in Germania sono stati stanziati 50 milioni di euro per finanziare la misura del tax credit.
Malagò lo sa bene. IIDEA ha chiesto che si passi da un tetto massimo di un milione di euro per azienda a due milioni di euro.
“Se un’azienda ha l’ambizione di sviluppare un tripla A, un milione non è molto”, spiega. “Si tratta di creare, secondo noi, le condizioni per rendere l’industria italiana più competitiva, anche rispetto a certe tipologie di prodotti che sono state appannaggio di studi più grossi all’estero”.
Il curioso caso del First Playable Fund
Rispetto al supporto finanziario alla produzione di videogiochi, c’è una seconda storia da raccontare: è quella del First Playable Fund, misura nota ufficialmente come Fondo per l’intrattenimento digitale.
Prevedeva 4 milioni di euro per “la concessione di contributi a fondo perduto in favore di progetti che, attraverso lo sviluppo delle fasi di concezione e pre-produzione”. La misura è stata ampiamente celebrata perché ha rappresentato uno dei primi chiari supporti alla produzione di videogiochi.
Partito a giugno 2021, le richieste sono state così alte che il fondo si è esaurito in tre ore. A oggi non è chiaro se il fondo verrà rifinanziato.
“Era una misura straordinaria”, specifica Malagò. “In questo momento non è stata riconfermata come misura stabile, è rimasta una tantum. Noi come associazione abbiamo cercato di interloquire con i soggetti istituzionali sia quelli che hanno gestito la misura, come il ministero dello Sviluppo Economico (ora ministero delle Imprese e del Made in Italy, ndr) e Invitalia, incaricata della gestione operativa di questo fondo; ma non c’è stato modo di arrivare a una stabilizzazione della misura. Volevamo che diventasse una misura stabile che si integrasse con il tax credit, che è tuttora operativo ma agisce su un altro fronte”.
La sostanziale differenza è che il tax credit, innanzitutto, è una misura rivolta ad aziende strutturate; ma poi è una misura che alleggerisce il conto finale una volta che l’azienda ha già investito dei soldi per cominciare a produrre il gioco.
Il Fondo per l’intrattenimento digitale, invece, nasce(va) per finanziare le primissime fasi di sviluppo; anzi, quelle di pre-produzione. È una misura utile per le imprese più piccole e produzioni di qualunque tipo perché copre il 50% del costo di produzione del prototipo e può coprire fino a 200 mila euro.
“Per questo per noi sono importanti entrambi: bisogna agire dal basso, per creare nuovo hummus e nuove IP, sia per consolidare le aziende che già esistono e strutturarle e renderle più forti sul mercato internazionali”, fa notare Malagò.
In merito al Fondo per l’intrattenimento digitale, IIDEA lavorerà per “avere questa misura stabilizzata se possibile o sostituita da altre misure che possano dare lo stesso effetto”.
La situazione italiana
C’è anche un altro punto da considerare: ancora oggi i videogiochi non sono un settore che trasversalmente, a prescindere dai programmi e dalle coalizioni politiche, ottiene delle garanzie.
In altre parole: cambia il Governo e non si sa se misure a sostegno della produzione di videogiochi ci saranno o no. E quindi ricomincia il circo: le associazioni si rivolgono, sentono, propongono, fanno il loro lavoro di lobby; e si spera che l’esecutivo ascolti e poi agisca.
“Io penso che sia una condanna per l’Italia”, sostiene Malagò. “È un freno a qualsiasi settore economico. L’economia per andare avanti ha bisogno di certezze e visioni a medio termine, perlomeno, non a breve termine; le imprese hanno bisogno di programmare. I cambi di governo non fanno bene a qualsiasi settore economico”.
Malagò però ritiene che “al di là delle coalizioni politiche che si sono succedute negli ultimi anni, complessivamente abbiamo trovato una maggiore sensibilità nei confronti dei videogiochi in maniera trasversale”.
Il pensiero, oltre all’attuazione del tax credit, va ai vari eventi business promossi negli ultimi anni – da First Playable, per mettere in contatto sviluppatori ed editori, a Round One, specifico invece per gli esport – ma anche al crescente interesse nei confronti degli eventi di tipo più culturale, dagli IVIPRO Days e RomeVideoGameLab ad altri eventi minori che sparsi per l’Italia parlano del videogioco, comunicano il videogioco e, in generale, ampliano la discussione attorno al videogioco introducendo elementi forieri di nuovi spunti.
Lo scopo ultimo resta quello di dare visibilità internazionale alle aziende e agli sviluppatori italiani. “I videogiochi sono un mercato internazionale”, ricorda Malagò. “Gli sviluppatori italiani generano il 94% del fatturato all’estero e questo vale per tutti gli sviluppatori nel mondo. Parliamo di imprese che lavorano su scala globale.”
Per questo il pensiero va frequentemente ai Paesi vicini: se la Francia oggi ospita alcune delle case di produzione più rilevanti al mondo, come Ubisoft, è perché è stata la prima a portare il tax credit. “Ci sono tantissime cose che si possono imparare e a cui ci si può ispirare cercando una nostra via, che sarà inevitabilmente diversa da quella degli altri”, sottolinea Malagò. “È importante guardarsi attorno”.