Quando parliamo di Ubisoft parliamo di una delle società più longeve della storia dei videogiochi. Ha iniziato l’attività nel 1985 e con i giochi di Ubisoft sono nate alcune delle serie e dei personaggi più popolari: Prince of Persia, Rayman, Assassin’s Creed. Oggi ha più di 20.000 dipendenti e gli oltre 45 studi attivi sono sparsi in tutto il mondo, anche in Italia (a Milano).
Allo stesso modo, parlare oggi di Ubisoft significa parlare di una delle società del settore che sta vivendo più difficoltà: creative, finanziarie, organizzative.
Il recente annuncio di Ubisoft ne è una dimostrazione:
- ha cancellato altri quattro giochi (uno dei quali era “Project Q”) non ancora annunciati, dopo averne cancellati tre lo scorso anno;
- ha rivisto al ribasso le aspettative di profitto dopo che Mario + Rabbids: Sparks of Hope e Just Dance 2023 hanno registrato prestazioni commerciali inferiori alle aspettative fra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio. E se prima prevedeva di ricavare 400 milioni di euro alla chiusura dell’attuale anno fiscale, ora prevede di perderne 500 milioni;
- ha rinviato, per l’ennesima volta, Skull & Bones, gioco online a tema piratesco annunciato nel 2017.
Una situazione che non nasce dal nulla, ma da un ambiente aziendale e da una serie di decisioni non favorevoli che indicano che Ubisoft, oggi, fatica a rinnovarsi.
La fatica dei giochi di Ubisoft
Intanto, partiamo proprio dalle parole di Ubisoft per descrivere la sua situazione. O meglio: per capire dove intende muoversi la società.
“[…] la società sta affrontando importanti sfide alla luce dello spostamento del settore verso mega-brand e titoli molto longevi che possono raggiungere i giocatori in tutto il mondo, su varie piattaforme e con vari modelli di business. La nostra strategia negli ultimi 4 anni è stata di costruire giochi live molto longevi e adattare le nostre serie più forti, soprattutto Assassin’s Creed, Far Cry, Tom Clancy’s Ghost Recon, Tom Clancy’s Rainbow Six e Tom Clancy’s The Division, verso queste tendenze convergenti per renderli marchi globali. Ciononostante, i giochi risultanti da questo fase di investimenti non sono ancora stati pubblicati, mentre i nostri lanci recenti non hanno registrato le prestazioni che ci aspettavamo”.
In altre parole, Ubisoft – come tanti altri editori – riconosce che il mercato si sta muovendo verso i giochi live service e che le sue serie devono muoversi in quella direzione. Al momento, però, salvo Rainbow Six Siege (che conta 85 milioni di utenti registrati), le altre serie si trovano in una fase di transizione.
Nell’attesa che l’evoluzione in giochi live service avvenga, insomma, Ubisoft è in difficoltà. Anche perché, sempre all’inseguimento delle tendenze di mercato, ultimamente non ha avuto fortuna:
- il battle royale Hyper Scape, commercializzato nel 2020, è stato chiuso il 28 aprile 2022;
- le recensioni dello sportivo gratuito Roller Champions, commercializzato a maggio 2022, lo hanno ritenuto un videogioco dalle buone meccaniche, ma scarno di contenuti. A luglio 2022 Ubisoft ha detto che in termini di “ritenzione e altri KPI relativi ai ricavi” Roller Champions stava andando meglio di Hyper Scape (non che sia una grande garanzia), ma nel trimestre successivo non lo ha citato;
- l’uscita di Avatar: Frontiers of Pandora, annunciato nel 2017 e inizialmente previsto nel 2022, è in programma fra il 2023 e il 2024. In pratica: ha saltato a piè pari la finestra del debutto del film Avatar: La via dell’acqua;
- il remake di Prince of Persia: Le sabbie del tempo continua a essere rinviato. Mentre inizialmente era in mano agli studi di Pune e Mumbai, è passato in mano allo studio di Montreal a maggio 2022;
- Ubisoft ha provato a cavalcare l’onda dei Non Fungible Token (NFT) inserendoli in Ghost Recon: Breakpoint. È andata male.
Nella maggior parte dei suoi risultati finanziari, Ubisoft vanta i risultati commerciali di due giochi soprattutto: Rainbow Six Siege e Assassin’s Creed, che continua a essere il marchio più potente in mano a Ubisoft.
Assassin’s Creed Valhalla, che ha debuttato nel 2020, ha venduto oltre venti milioni di copie ed è il gioco della serie che ha generato più ricavi, superando già a dicembre 2021 il miliardo di dollari.
In linea con quanto detto da Ubisoft recentemente, anche Assassin’s Creed sta cambiando. O perlomeno, Ubisoft intende spremere ancora di più questa serie e lo scorso anno ha annunciato vari progetti, di cui il prossimo Assassin’s Creed Mirage è solo il primo e altri ne arriveranno successivamente.
Mentre con l’annuncio di The Division: Resurgence e di un gioco mobile di Assassin’s Creed (realizzato in collaborazione con Netflix) intende ampliare il suo giro d’affari mobile, che nel primo semestre dell’anno fiscale 2022/2023 ha rappresentato il 27% dei ricavi di Ubisoft contro l’11% dell’anno precedente.
Ma i problemi di Ubisoft – le cui azioni negli ultimi 12 mesi hanno perso il 63% del loro valore – non sono legati solo ai suoi videogiochi; ma anche a quello che succede dentro all’azienda.
Discriminazioni e pessime email
Nel 2020 Ubisoft è stata travolta da accuse di un ambiente discriminatorio e negativo dove le molestie sessuali erano frequenti, anche da parte di alcune figure con ruoli direttivi. In altri casi, si trattava di figure creative che creavano attorno a loro un’aura di tensione e paura.
Fra queste ci sono state, per esempio, il direttore creativo di Assassin’s Creed Valhalla Ashraf Ismail – accusato di essersi finto single per approcciare una streamer e di averlo fatto anche in altre occasioni, anche all’interno di Ubisoft – e Michel Ancel, accusato invece di essere una pessima persona con cui lavorare. Entrambi hanno lasciato Ubisoft nei mesi successivi. Ma le persone coinvolte erano molte di più e il reparto di Risorse Umane non era di aiuto.
Più di due anni dopo, la situazione non si è ancora placata.
Innanzitutto, perché il modo in cui l’amministratore delegato Yves Guillemot ha parlato – e continua a parlare – delle difficoltà di Ubisoft non sono soddisfacenti: ha puntato il dito verso “frizioni” nel processo creativo e ha negato di essere mai stato a conoscenza di quanto stava accadendo (un resoconto della pubblicazione francese Liberation dice il contrario).
E anche perché all’interno di Ubisoft non si ritiene che sia stato fatto abbastanza affinché quel tipo di cultura e di ambiente tossici fosse smantellato. I passi avanti ci sono stati, ma vengono considerati sporadici oppure localizzati. E così, tante persone semplicemente se ne stanno andando da Ubisoft.
Più di recente, un altro episodio ha dimostrato la distanza, sempre più lunga, che c’è fra la dirigenza – e in particolare proprio Yves Guillemot – e i dipendenti.
A seguito dell’annuncio di cui sopra – la revisione delle previsioni finanziarie, il rinvio di Skull & Bones, ecc – Guillemot ha scritto un’email interna rivolta ai dipendenti in cui ha detto che “ora spetta a voi riuscire a portare a termine questo catalogo in tempo e al livello di qualità che ci aspettiamo e mostrare a tutti di cosa siamo capaci”. Ha chiesto anche di fare attenzione alle spese.
In risposta, alcuni dipendenti dello studio di Parigi hanno annunciato uno sciopero di mezza giornata per il 27 gennaio ritenendo ingiuste le affermazioni di Guillemot e temendo che fra le parole di Guillemot si nascondano avvisaglie di licenziamenti prossimi.
“Guillemot ha usato parole come ‘aggiustamenti organizzativi’ ha detto Marc Rutschle, rappresentante del sindacato di Ubisoft Parigi. “Conosciamo queste parole perché le abbiamo sentite pronunciare da altre aziende e significano sempre piani di licenziamenti”.
Ubisoft appare come una delle società che sta soffrendo di più la transizione commerciale a un portafoglio di titoli più variegato per restare competitiva; sta faticando a mantenere alta l’asticella creativa e a tenere assieme gli studi e chi ci lavora, che si sente invece poco considerato dalla dirigenza. Il suo futuro, insomma, appare quanto meno complicato.