Un “no” che non è un “no”

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Dopo oltre mille licenziamenti, diversi studi chiusi e due venduti, il gruppo svedese Embracer ha concluso la sua ristrutturazione. Questa è cominciata a metà dello scorso anno, quando un accordo, forse con un soggetto saudita, non è andato a buon fine: ciò ha provocato una valanga, che ha travolto l’intera struttura del gruppo e ha spinto la dirigenza a ridurre i costi.

Più di recente sono state vendute Gearbox Software e Saber Interactive; ma sono stati chiusi Volition Studio, Campfire Cabal, Free Radical. Di Embracer fanno parte anche tre aziende italiane: 34BigThings, Milestone e Destiny Bit.

Nonostante un anno di riduzione, durante l’incontro con gli azionisti con cui l’amministratore delegato Lars Wingefors ha fatto queste dichiarazioni, si è tornato a parlare di acquisizioni. Non è stato lui a parlarne direttamente; ma gli è stato chiesto, in sostanza, quando Embracer riprenderà a valutare operazioni di fusione e di acquisizione.

La risposta, che riprendo da Rock, Paper, Shotgun, è stata: “Penso che sia troppo presto per iniziare a parlare di riavviare i motori delle operazioni di fusione e acquisizione di nuovo. Ora siamo nelle fasi finali delle valutazioni sul futuro del gruppo, e questo è il nostro obiettivo e la nostra massima priorità: come impostarci e strutturarci, e utilizzare le nostre risorse che abbiamo all’interno del gruppo, e farle lavorare insieme, e il modo in cui li sfruttiamo meglio lavorando insieme, utilizzando funzioni diverse, penso che questo sia il nostro obiettivo in questo momento, per aumentare la redditività e la generazione di flusso di cassa, semplicemente realizzando prodotti e giochi migliori.”

Mi sono sorpreso, ma forse non avrei dovuto, che la risposta di Wingefors non sia stata più diretta. Ossia: ma come si può anche solo pensare di spendere soldi in ulteriori acquisizioni dopo mesi passati a licenziare e a chiudere a causa di un debito che andava risanato in qualche modo. E che ancora rimane, ma è stato alleggerito rispetto a un anno fa.

La risposta di Wingefors è stata accomodante: non è un “no”, ma un “dateci tempo”.

Non c’è la volontà di affermare un dato di fatto: che le recenti decisioni di Embracer sono state il risultato di valutazioni poco lungimiranti, di operazioni frettolose e di una struttura che ha – nel caso migliore – mostrato il fianco dopo essere stata colpita da un accordo che è saltato all’ultimo.

Non mi doveva sorprendere e pure lo ha fatto lo stesso.

Società come Embracer, come qualunque società quotata in borsa, non vedono l’ora di tornare a comprare, di tornare a spendere soldi in acquisizioni. Perché sono attività, queste, che danno fiducia agli azionisti: se un’azienda spende (e magari spande), lo fa perché crede che così diventerà ancora più grande, farà ancora più ricavi. In altre parole, lo fa perché crede che domani sarà migliore di com’è oggi: e il futuro è ciò che comprano gli azionisti.

Non c’è mai stato né evidentemente mai ci sarà un momento in cui Embracer ha detto/dirà “forse è il caso di rivalutare questa cosa delle acquisizioni dopo aver speso miliardi di euro e nonostante ciò non essere riusciti a concretizzare una struttura realmente solida”. La risposta invece è: aspettate, dateci tempo.

Non mi doveva sorprendere.