Quest’anno Space Invaders compie 45 anni. Uscì in Giappone, prodotto da Taito e soprattutto dall’idea di Tomihiro Nishikado, nel 1978. 45 anni fa, appunto.
Questa realizzazione, figlia di un articolo che ho letto su Wired dove viene intervistato proprio Nishikado, mi ha colpito, nella sua banalità.
Perché ho l’impressione che spesso non realizziamo pienamente quanto il settore sia cambiato in fretta.
Nel 1972 nacque Atari, c’erano il Magnavox Odyssey e Pong.
Oggi, 51 anni dopo, parliamo di tecnologie talmente avanzate, rispetto a quei tempi, che è evidente che non c’è salto un salto generazionale: ce ne sono stati molteplici e tutti incredibili, in prospettiva.
Soprattutto, riflettere un momento sul fatto che l’industria ha 50 anni – ci sono stati esperimenti prima, come Tennis for Two e Spacewar: ma è nel 1972 che prende forma il settore commerciale dei videogiochi – ci dà anche modo di capire come sia evidente che quando si dice che questo mondo è “giovane”, be’, lo è per davvero. Persino più della TV, che tutto sommato appartiene alla storia recente.
Esistono tantissime persone nel mondo che sono nate in un mondo dove i videogiochi non esistevano. Letteralmente. Cosa che è molto più difficile da dire per i film – figuriamoci per i libri, ovviamente.
Secondo me, ogni tanto, vale la pena di prendere un po’ le distanze, come se potessimo osservare da lontanissimo la linea temporale dei videogiochi, per realizzare la strada che è stata fatta: che è tanta e allo stesso tempo poca, se ci pensiamo.