Il tanto tempo chiuso in casa ha accelerato la crescita del mercato dei videogiochi in Italia nel 2020. Nulla di sorprendente, anzi: ce lo si aspettava. Secondo i dati dell’associazione di categoria Italian Interactive Digital Entertainment Association (IIDEA), in media gli italiani hanno giocato 8 ore alla settimana lo scorso anno; 16,7 milioni di italiani hanno giocato ai videogiochi.
(N.B.: questo tipo di rapporti tende a essere molto generoso nell’etichettare una persona un “videogiocatore”. Non viene specificato secondo quali criteri vengano definiti tali: basta aver giocato una volta in un anno? Non lo sappiamo)
Il dato più importante riguarda il giro d’affari, che per la prima volta ha superato i 2 miliardi di euro (2,179 miliardi per la precisione) con una crescita di oltre il 21% rispetto al 2019. Non voglio però annoiarti con i dettagli del rapporto (li puoi trovare qui); bensì, con alcune valutazioni che possiamo trarre da questa indagine di mercato e di cosa possa dirci sui videogiochi in Italia e chi gioca.
Ne possiamo dedurre, per esempio, che la Top 20 italiana non è per niente italiana. I giochi più venduti in Italia nel 2020 sono capitoli di serie internazionali come FIFA, Call of Duty, Assassin’s Creed e GTA. Una classifica che non dà minimamente un senso di “italianità”; quella stessa classifica potrebbe rappresentare i consumi nel Regno Unito o in Francia o in Danimarca.
Facciamo un paragone con le classifiche dei film più visti in Italia. Certo, ci sono i vari film sui supereroi e i film d’azione ricchi di effetti speciali che si producono all’estero; ma spesso ci sono i cosiddetti cinepattone, per esempio, che volenti o nolenti fanno comunque parte delle abitudini cinematografiche italiane e del tessuto produttivo del cinema italiano. Nel 2020 – un anno chiaramente straordinario perché i cinema sono stati chiusi per molti mesi – fra i film che hanno incassato in Italia di più ci sono “Tolo Tolo” di Checco Zalone, “Hammamet” di Gianni Amelio e “Gli anni più belli” di Gabriele Muccino.
A guardare la classifica dei giochi più venduti in Italia nel 2020, invece, si potrebbe pensare che non esistano videogiochi fatti in Italia; il che non è vero, ma hanno una scarsa visibilità. È normale che i film italiani che devono debuttare al cinema vengano anche sponsorizzati nei cinema (con dei cartonati o dei poster, per esempio). Hai mai visto Milanoir sponsorizzato da Gamestop? E Detective Gallo o Football Drama? O Bud Spencer and Terence Hill Slaps and Beans? No: sono giochi digitali, innanzitutto, quindi non possono godere delle vetrine dei negozi fisici; finiscono quindi nella marea delle piccole produzioni distribuite su PC e console, in mezzo a chi ha un budget di marketing superiore oppure un nome di maggiore richiamo o ha dietro di sé un editore.
L’ultimo rapporto di IIDEA ci dice, poi, che chi gioca ai videogiochi non si informa tramite i siti specializzati o quelli generalisti: lo fa soprattutto con il passaparola degli amici (38%) e attraverso i social network (28%). Ciò significa che i siti specialisti, in particolare, parlano alle solite persone (i super appassionati) senza riuscire, evidentemente, ad attirare un pubblico più ampio. Finché il videogioco parlerà soltanto a pochi, non potrà mai ambire a diventare un medium valido come il cinema o la letteratura. Vantare un valore di miliardi di euro non basta. Da una consapevolezza, è evidente, dipende il futuro del videogioco in Italia come settore produttivo. Un settore che oggi deve celebrare un fondo da 4 milioni di euro, quando in altre parti del mondo i videogiochi sono trattati come un’industria creativa in espansione e in quanto tale viene supportata in molti modi e soprattutto con fondi e sgravi fiscali più sostanziosi. Ne parlai ampiamente qui: le cose, oggi, sono identiche.
Infine, quel rapporto ci dice che tantissime persone (10,7 milioni) giocano su smartphone e tablet. Il mercato mobile dei videogiochi è in fortissima espansione ancora oggi, come ti ho spiegato: eppure, dall’informazione specializzata viene trattato come il fratello non voluto delle produzioni per console e per PC. Quindi in forte disaccordo con quello che è il mercato attuale dei videogiochi, anche in Italia.