Non posso prevedere il futuro e, peraltro, la maggior parte delle volte cerco bene di non farlo: perché le previsioni possono variare per fattori che oggi non conosciamo. Mi sono chiesto più volte però se il focus che c’è stato negli ultimi mesi sul cloud gaming abbia senso o sia solo un’allucinazione collettiva.
Il cloud gaming è stato centrale, e lo è tuttora, affinché l’autorità antitrust nel Regno Unito approvi o meno l’acquisizione di Activision Blizzard King da parte di Microsoft. Inoltre, Microsoft ha dovuto firmare contratti con concorrenti come Nvidia (GeForce Now) e Boosteroid e Ubitus affinché la Commissione Europea approvasse l’operazione.
Perché tutte le autorità hanno considerato che il cloud gaming – eliminando la necessità di avere una console per giocare ai videogiochi – renderà più accessibile i videogiochi e quindi trasformerà questa industria perché abbasserà il costo.
Ma è davvero così? A che punto si trova il cloud gaming? Mi permetto di fare qualche considerazione.
Il cloud gaming, oggi
Oggi il cloud gaming è rappresentato soprattutto da due servizi, secondo me. Il primo è Xbox Cloud Gaming, parte del piano Ultimate di Game Pass: costa 14,99 euro al mese e permette di giocare ai giochi Xbox ovunque (smartphone, selezionati smart TV, PC). Il secondo è GeForce Now: ha vari piani, anche in 4K con ray tracing, e consente di giocare ai videogiochi che già si possiedono su piattaforme come Steam.
Ne esistono altri, ma li vedo come secondari: Amazon Luna è disponibile solo negli Stati Uniti; la proposta di PlayStation Plus Premium (considerato che lo streaming dei videogiochi PS5 vale solo su console PS5) mi sembra ancora blanda.
Stimare cos’è oggi il cloud gaming non è facile, ma ho trovato due proiezioni di mercato che possono aiutarmi.
La prima è di Omdia, secondo cui questo mercato valeva 3,7 miliardi di dollari nel 2021 e arriverà a 12 miliardi di dollari nel 2026, spinto dagli abbonamenti. Considera che questa stima è antecedente alla chiusura di Google Stadia.
La seconda proiezione è di Newzoo. È più recente, di novembre 2022. Newzoo è andato più nel dettaglio e ha stimato che nel 2022:
- 31,7 milioni di utenti hanno pagato per giocare in cloud;
- 2,4 miliardi di dollari sono stati spesi;
- e nel 2025 gli utenti paganti saranno 86,9 milioni e i ricavi 8,2 miliardi.
C’è un dato più interessante, secondo me, che emerge dal rapporto di Newzoo: cioè il cosiddetto “serviceable obtainable market” (o SOM). In pratica, il pubblico che effettivamente può essere raggiunto da un dato servizio o prodotto.
Per Newzoo, il SOM nel 2022 per il cloud gaming era composto da 220,2 milioni di persone nel mondo, mentre sarà di 464,9 milioni di persone nel 2025. Sono tanti, certo; ma mettiamoli in relazione al mercato complessivo.
Secondo un altro rapporto della stessa Newzoo, nel 2025 il mercato dei videogiochi varrà 206,4 miliardi di dollari. Quindi, il cloud gaming rappresenterebbe il 3% del mercato, in termini di ricavi.
Considerato, poi, che Newzoo vanta spesso i famosi 3 miliardi di persone che nel mondo giocano ai videogiochi (una stima incredibilmente generosa perché, praticamente, prende in considerazione anche chi gioca una volta ogni sei mesi), vuol dire che il 15% del pubblico complessivo dei videogiochi è interessato al cloud gaming.
A me paiono previsioni che non indicano una radicale trasformazione della fruizione del videogioco. Di un servizio in espansione? Certo. Di qualcosa che crescerà? Certo. Forse, non così tanto, per ora.
I limiti del cloud gaming
“La tecnologia cloud diventerà una componente significativa di come i giocatori accedono ai videogiochi fra il 2025 e il 2035. Faremo investimenti significativi nel cloud in previsione che diventi un modo significativo di come i giocatori accedono ai videogiochi”.
Questo lo ha detto Jim Ryan, amministratore delegato di Sony Interactive Entertainment, quando ha testimoniato nel corso del dibattimento fra Microsoft/Activision e la Federal Trade Commission, ossia l’autorità antitrust statunitense.
Come spesso accade nel mondo della tecnologia tutta, quindi non solo i videogiochi, ho l’impressione che le aziende stiano provando a innestare nel mercato qualcosa che o le persone non vogliono o non sono ancora pronte ad accogliere.
Un po’ lo stesso discorso che si è fatto per il metaverso: nessuno lo voleva (e nessuno lo vuole), ma Meta – che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp – ci ha provato e lo ha raccontato come il futuro della società, persino del lavoro.
Tornando al cloud gaming, la società che più di tutte insiste nel provarci è Microsoft, che con Xbox Cloud Gaming ha l’offerta più interessante: un vasto catalogo di giochi inclusi a 14,99 euro al mese e che giochi dove vuoi. La cosa più vicina al “Netflix dei videogiochi” di cui spesso si è parlato.
Le ragioni sono puramente di mercato.
“Voglio essere certo – per il benessere dei giochi retail – che siano disponibili sulla piattaforma da gioco che cresce più velocemente, che è il mobile”, ha detto Phil Spencer, amministratore delegato di Microsoft Gaming, intervistato da Eurogamer durante la recente gamescom di Colonia. “È davvero l’unica [piattaforma] delle tre che sta crescendo. [Il settore] Console è relativamente piatto in termini di numero di giocatori, il PC è relativamente piatto in termini di numero di giocatori. Il mobile ha rappresentato tutta la crescita di questa industria negli ultimi dieci anni”.
Ecco perché, per Spencer, è importante che su mobile si possa giocare Starfield via cloud. O persino Spider-Man.
“Penso che ci perdiamo qualcosa se grandi giochi narrativi come God of War o Starfield o Spider-Man o qualunque altro non sono disponibili su [questi] posti”, ha aggiunto Spencer. “Ma altre aziende stanno prendendo altre decisioni su dove vogliono che le persone possano giocare”.
C’è da considerare, però, il limite più grande di tutti, quando si parla di cloud gaming: la stabilità della connessione. Un limite che va di pari passo con le peculiarità del videogioco e di giocarlo in streaming.
Il videogioco non è un film, dove basta un flusso di dati che va in un’unica direzione (dal server al dispositivo dell’utente). Servono due flussi, uno in arrivo e uno in uscita: perché ciò che l’utente fa nel gioco (saltare, muoversi, raccogliere oggetti) influenza il flusso in arrivo, che deve rispondere in maniera specifica e non predefinita. Con tutte le conseguenze, poi, sulla latenza, che è qualcosa che nemmeno esiste quando si ascolta la musica o si guarda un film in streaming.
E questi limiti, oggi, esistono nonostante società come Microsoft investano miliardi di dollari ogni anno per migliorare la loro infrastruttura cloud: perché con quella stessa infrastruttura ci fanno girare i server che altre società usano per la loro operatività. Eppure può capitare, in alcuni posti, di dover attendere fino a due ore solo per poter accedere a una partita in cloud. Un esempio estremo, ne sono consapevole; ma Xbox Cloud Gaming può accogliere solo un certo numero di persone alla volta.
Cosa succederà il giorno in cui davvero il cloud gaming diventerà qualcosa di molto più adottato?
C’è poi un discorso che riguarda cosa intendiamo con “accessibilità”. Io non penso che i videogiochi abbiano problemi a essere intercettati da nuove persone perché c’è da comprare una console; e che quindi se viene meno questo ostacolo, allora avremo milioni di persone in più che giocheranno ai videogiochi. Forse, passerà al cloud gaming il videogiocatore occasionale, a cui importa poco della grafica e vuole solo essere comodo: e il cloud gaming è comodo.
Il mobile, che come ha detto Spencer è il principale motivo per cui questo settore è cresciuto negli ultimi anni, ha fornito alle persone esperienze più semplici: giocare a Super Mario Run o Candy Crush è intuitivo e basta un dito; non due levette, quattro tasti dorsali e combinazioni o nozioni esperienziali assorbite in vent’anni di vita. Non è stato solo il poter giocare con un dispositivo che ci portiamo sempre dietro – anche se questa caratteristica ha giovato; ma avere di fronte qualcosa di facilmente leggibile, molto più dei tantissimi videogiochi che escono su PC e su console.
Credo che il cloud gaming non sia per forza il futuro dei videogiochi; o almeno non lo sia con quella prepotenza su cui tanto Microsoft quanto le autorità antitrust insistono. Per motivi intrinsechi nello streaming di videogiochi, in particolare, che non andranno via tanto presto.
Chiudo però con una cosa. Trovo molto affascinante che stiamo parlando di cloud gaming soprattutto perché una grande società (Microsoft) si è trovata dietro ai concorrenti (PlayStation e Nintendo); quindi ha dovuto fare qualcosa per scavarsi una posizione; quindi ha iniziato a investire in una tecnologia (il cloud) ed è riuscita a trascinare con sé l’intera industria, e il racconto che ne si fa, fino al punto in cui ora il cloud gaming viene considerato il futuro.
Nonostante il fallimento di Google Stadia; nonostante il numero di persone abbonate a Game Pass su console sia già fermo e nonostante i limiti tecnologici del cloud gaming, almeno per renderlo un servizio di massa, non vengano superati.